GIORGIA MELONI E IL SENSO DELLO STATO

Di recente la Presidente del Consigio, nel corso di una visita in Sicilia, ha definito l’obbligo fiscale ‘pizzo di stato’ – significativa la minuscola, così come riportata da quasi tutta la stampa – suscitando, come era largamente prevedibile e probabilmente programmato, un coro di approvazione da parte di presenti e assenti. Credo che sia lecito pensare che Giorgia Meloni non abbia avuto Hans Kelsen nella sua personale bibliografia di formazione; se l’avesse avuto, la frase pronunciata sarebbe doppiamente inopportuna, senza un minimo riferimento all’illustre pensatore giuridico.
Non fosse altro perché, in effetti, la definizione, sicuramente corriva, per quanto paradossale possa sembrare, non è poi così lontana dalle analisi elaborate da Kelsen a proposito di società, Stato, diritti e doveri. Il termine ‘pizzo’ ovviamente evoca comportamenti penalmente rilevanti, espressione di prepotenza se non addirittura di imposizione mafiosa o, comunque, proveniente da criminalità organizzata ed era proprio in quel senso che lo intendeva l’inquilina di Palazzo Chigi; se non che, fu proprio il massimo giurista del XX secolo a dire – con molta più sottigliezza – che, in fin dei conti, nel momento in cui qualcuno si presenta a un privato cittadino esigendo il pagamento di una somma, l’unica differenza tra un malavitoso e un funzionario dell’agenzia delle entrate è che quest’ultimo agisce in nome della legge vigente.
Allo stesso modo, il monopolio dell’uso della forza da parte di polizia e carabinieri è dovuto a una legge che mette loro una divisa, ma le armi da fuoco non di rado sono le stesse che usano i rapinatori. Ed è proprio qui che sta il punto: è la presenza dello Stato, l’appartenenza allo Stato, il fatto stesso che il patto sociale che si pone alla base di ogni entità civile, sono tutti questi elementi che non solo differenziano due persone che puntano una pistola o limitano la libertà personale, ma che misurano la distanza che corre tra una società umana – per quanto imperfetta e ingiusta possa essere – e la legge della giungla, del più forte.
Per cui, sì, in effetti le pretese fiscali verso le categorie sociali sono in qualche modo un pizzo imposto allo Stato, al quale siamo tenuti tutti; la pena, che segue all’inottemperanza rispetto a tale imposizione, è ben più grave di una sanzione, pecuniaria o penale: è lo smarrimento del presente e del futuro, della convivenza reciproca, del limite (nei modi possibili) alle prevaricazioni di chi vorrebbe che il pizzo non fosse versato allo Stato ma al capobastone pro tempore. Ma questo ragionamento pertiene a chi creda fermamente nell’entità statuale: non a chi vada raccattando consensi e prebende, praticando miserabile politicastra da quattro lire che, come il mancato smaltimento dei rifiuti tossici, peserà su coloro che verranno dopo di noi.

Cesare Stradaioli