Dalla fine del fascismo in poi, nel nostro Paese un cittadino che supera il concorso per magistratura, a seconda di determinate tempistiche e disponibilità nelle sedi, per tutta la sua carriera e fino alla pensione, può prestare servizio nella giustizia civile, penale e amministrativa, a scelta.
La questione della separazione delle carriere ha carattere prettamente penalistico; nello specifico, uno può prestare servizio, sempre secondo le suddette disponibilità e tempistiche, alla Procura (del Tribunale in primo grado, della Corte d’Appello in secondo grado – presso la Cassazione dopo un certo numero di anni) e al Giudicante (Tribunale, Corte d’Appello e Cassazione idem come sopra), cambiando quando lo desidera e se nel concreto è possibile.
Senza scendere in dotte e noiose chiose costituzionali, separare le carriere significa diverse cose.
Anzitutto, se un magistrato intende operare in campo penale, deve scegliere, una volta per tutte, di essere inquirente o giudicante e fin qui, in apparenza, tutto bene: il pubblico ministero è parte del processo, equiparato come poteri e diritti, all’imputato e il giudice è “terzo”, qualunque cosa ognuno voglia intendere – per inciso: in Sicilia, essere definito “terzo” non è esattamente un complimento.
C’è il piccolo problema dell’obbligatorietà dell’azione penale, che personalmente considero uno dei capisaldi della civiltà del diritto.
Significa che in qualsiasi modo la Procura del luogo riceve una notizia di reato – querela, referto, esposto, confidenza, soffiata, perfino lettera anonima (che non può essere usata come prova, ma come spunto di indagine) – a meno che la notizia non sia palesemente irreale (accuso Tizio di avere molestato la madonnina del Duomo di Milano), deve essere iscritta a notizia di reato, con il suo bel numero di RG NR (Registro Generale Notizie di Reato), contro Sempronio o contro ignori e devono DEVONO cominciare le indagini.
Quando finiscono, il PM o chiede l’archiviazione oppure esercita l’azione penale e in questo secondo caso gli atti di indagine sono pubblici e l’indagato diventa imputato.
Nel diritto anglo-americano e dovunque esista la separazione delle carriere, l’azione penale è discrezionale: vale a dire, come suggerisce il termine, la Procura procede se lo ritiene opportuno.
Una delle conseguenze, a titolo di esempio, è questa: in Italia un ‘pentito’ deve comunque essere giudicato e condannato, ovviamente alla pena ridotta che prevede la legge, data l’obbligatorietà dell’azione penale, mentre dove non vige uno può accusarsi e accusare altri dei peggiori crimini, se collabora la sua vicenda giudiziaria finisce o neppure comincia e torna a essere un libero cittadino.
L’obbligatorietà dell’azione penale mette al riparo dalle ingerenze della politica e, in genere, dei cosiddetti ‘poteri forti’, che spadroneggiano laddove l’azione è discrezionale e le carriere sono separate. Che, poi, dato che non viviamo nel Paese dei campanelli, una singola Procura possa decidere di impiegare più o meno mezzi, dare o non dare la precedenza a questa o quella indagine, è altro discorso.
Diciamo che, se con l’obbligatorietà dell’azione penale può succedere che certi processi vengano ‘dimenticati’ nei cassetti e di fatto non celebrati, laddove vi sia la discrezionalità, questo è certo.
Altra caratteristica; da noi il PM guida e coordina le indagini, in preminenza sulle forze dell’ordine; a carriere separate, avviene il contrario, la polizia decide dove e quando e se indagare e il Prosecutor non può fare un bel niente se non dire: queste prove mi bastano per andare in aula oppure non mi bastano, ma non ha alcun potere sulle indagini.
In poche parole: le forze dell’ordine, dove c’è la discrezionalità e le carriere sono separate, fanno quello che vogliono e la tutela giurisdizionale e di controllo di un magistrato interviene SE si arriva al processo.
Separare le carriere automaticamente significa separare le Procure dalla Magistratura e, di fatto, sottoporle al controllo del ministro della giustizia, ovvero del governo, ovvero: il potere esecutivo mette i piedi nel piatto di quello giudiziario, con tanti cari saluti alla tripartizione dei poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) e ai contrappesi istituzionali. Non a caso, nell’Italia della monarchia e durante il fascismo, erano i Procuratori del Re.
Prima conseguenza: i Prosecutor diventano concretamente influenzabili se non ricattabili.
Seconda conseguenza: mentre ora il PM indaga anche a favore della persona sottoposta a indagini, nella separazione e quindi nella discrezionalità dell’azione penale, tale dovere istituzionale non esiste.
Link sulla seconda conseguenza: i Pm o Prosecutor diventano elettivi e, dunque, per farsi eleggere, hanno bisogno di condanne a tutti i costi (a proposito: nella tanto decantata giustizia americana, i Pm sono avvocati, dall’avvocatura vengono e nell’avvocatura possono tornare, alla faccia della ‘separazione delle carriere’).
Ulteriore link: a quel punto, arrivare al giudice come carica elettiva, il passo è breve.
Vi piace l’idea che la vostra querela avrà un seguito solo se il Pm lo vorrà?
Solo se non darete fastidio a qualche industriale o politico?
Vi piace l’idea che polizia e carabinieri indaghino senza alcun controllo della magistratura, essendo tenuti unicamente a depositare in Procura quello che vogliono loro e che a quanto non depositato nessun Pm può avere accesso?
Vi piace l’ìdea che un pubblico ministero (già avvocato ieri e forse avvocato domani, quindi depositario di segreti che possiamo solo immaginare) venga eletto?
E che dipenda dal ministro di Giustizia pro tempore?
Vi piacerebbe l’idea che anche i Giudici siano eletti, cioè facciano campagna elettorale (con le assoluzioni? o piuttosto con le condanne?) e perciò stesso, alla stregua dei politici, debbano rispondere all’elettorato, pena la mancata rielezione?
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