RIASSUNTO DI ANNI RECENTI A USO E CONSUMO DI QUELLI FUTURI

Proviamo a capire, a capirci. E’ necessario fare qualche passo indietro e ricorrere alla memoria; esercizio ostico e scomodo: poco praticato in un Paese che privilegia più di altri i mezzi privati e legge meno di quanto leggesse negli anni ’50. Utile strumento, tuttavia e indispensabile, senza il quale ogni possibile argomentazione avrebbe, al più, l’efficacia cinetica di un motore a dodici cilindri portato al massimo dei giri con la marcia posta in folle.
Cade la cosiddetta Prima Repubblica: pare un secolo e ne è trascorso invece poco più di un quarto. La smemoratezza allunga i tempi. Il sistema si sfascia; era gravato da una corruttela che, beata ingenuità, pareva giunta a livelli non superabili in questo mondo. Avessero potuto leggere il futuro e vedere il mondo com’è adesso, piangerebbero avviliti molti di coloro che nelle custodie cautelari a cadenze quasi giornaliere intravvedevano un cambiamento sostanziale. La Magistratura fa quello che può – da verificare se sia o meno quanto realmente vuole; di certo, cadono staccionate (leggi: avocazioni a Roma) e cedono legami (leggi: via libera come non s’era mai vista per la Procura di Milano; a guardarli nelle foto del tempo, i sostituti procuratori paiono quasi sbigottiti: più dalla libertà di manovra che si trovavano ad avere che dal consenso popolare che li circonda). A conti fatti, avrà grattato la superficie e poco altro; rimangono da scoprire – posto che un domani sia possibile – su quali e quante porcherie sia rimasta seduta l’Italia del dopoguerra. Guai ad approfondire sul ‘boom economico’ degli anni ’60: chi tocca muore. Per cui, rimangono a dormire in santa pace la vera corruzione, emigrazione interna forzata e sanguinosa, sindacati gialli, famiglie e ceti sociali distrutti, inquinamento ambientale a tutta forza, lavoro nero, evasione fiscale da Repubblica delle banane, sventramento del territorio: Agnelli e Pirelli, per non fare nomi ed essere sintetici.

Lasciamo perdere gli esiti giudiziari. Qualcuno aveva paventato plotoni d’esecuzione; sarebbe finita, più o meno come aveva preconizzato il difensore di Sergio Cusani: raffiche di mitra a salve. Ne emerge un Paese incattivito da una comprensibile quanto malintesa sete di giustizia, convinto da una campagna stampa ad alzo zero sulla cosiddetta ‘casta’, che gli eletti siano stati mandati quaggiù dallo spazio profondo e non usciti dalle urne elettorali, soprattutto distratto e in via di distrazione definitiva: ci penserà un imprenditore ricchissimo, furbo e scafato, titolare prima di due, poi di tre e, infine, giusta il suo ruolo di Presidente del Consiglio a più riprese, di sei canali televisivi, con i quali (complici/utili idioti una avvilente cerchia di pseudo oppositori) rimbecillisce un popolo di consumatori compulsivi e viziato a morte da un conformismo senza uguali – un esempio per tutti: almeno due generazioni ancora coltivano il rito dell’abbuffata collettiva, quasi avessero patito la fame bellica come i loro nonni e genitori. Compra sentenze e parlamentari, imbesuisce intere fasce di cittadini, chiede immunità, garantendo il buon rendere a chiunque lo voti, costringe povere anime ormai guitti da retropalco a ingurgitare prosciutto o ballare in tv, indecenti. Ultimo, ma per niente ultimo, umilia l’immagine femminile in tutti i modi possibili. Manda sugli schermi urlatori bavosi. Ordina leggi a propria utilità.
Provocherà danni calcolabili, a spanne, probabilmente nel tempo di una o due generazioni: tanto ci vorrebbe, secondo Franco Cordero, per porvi rimedio – cominciando seduta stante, ben s’intende. Vince e perde a più riprese: due volte, a dispetto di una propaganda mediatica avversa, lo batte Romano Prodi (stiano calmini i sostenitori dell’amabile professore: lui è uno di quelli che ci portò dentro Maastricht e poi nell’euro, forzando un peso medio a combattere con i supermassimi, con un tavolo di arbitri che lo punisce se i suoi medici gli suturano le arcate sopraccigliari – li chiamano ‘aiuti di Stato’). Ma siccome in Italia, abbia Brecht la stessa indulgenza che chiede a noi, c’è chi cambia bandiera più spesso delle scarpe, due volte lo stesso professore bolognese viene cannoneggiato dal fuoco amico. In realtà, dal 1994 al 2011, Berlusconi governa da presidente del consiglio per otto anni e poco più. La cosa, in realtà (non era difficile capirlo, l’uomo e i suoi corifei sono sempre stati libri aperti nelle intenzioni, specie quelle più laide e impresentabili), in senso stretto gli importava e gli importa poco; ancora adesso, fine 2018, se formalmente fa parte dell’opposizione, quello che più gli interessa, dopo essersi assicurato quasi ogni tipo di impunità giudiziaria (da una non ha potuto uscire: se l’è cavata con un affidamento in prova da avanspettacolo) è quello che gli rimane intatto adesso, come quando governava il centro-sinistra: la salvaguardia del suo impero (reti televisive e assicurazioni) e le quote di pubblicità. I rimanenti nove anni lo vedono all’opposizione, mentre i vari governi masticano aria e glorificano Mediaset quale patrimonio della nazione. Nell’Italia della cosiddetta Seconda Repubblica è capitato di sentire anche questo e non è stata la cosa peggiore.

Nel frattempo, menti eccelse scaturite da un partito comunista che durante gli anni ’70 aveva sterminato ogni opposizione alla propria sinistra, ricorrendo se necessario a una certa Magistratura che, fra una legge speciale e l’altra, fra galera ed esili forzati, emetteva mandati di cattura deliranti, uno dei quali definito ‘pantalonade judiciarie’ – cfr. quanto scritto dalla Chambre d’Accusation francese nel caso Piperno rifugiato a Parigi (45 capi di imputazione, parole e musica della Procura di Roma, per chiederne l’estradizione) – si produssero in un’alzata di ingegno che suonerebbe quasi simpatico attribuire a qualche pensatoio della CIA: liquidare i partiti di sinistra. Tanto sarebbe valso, con la Wehrmacht che spadroneggiava in Europa e le truppe bloccate a Dunquerque che, allo scopo di meglio combattere Hitler, Churchill avesse disposto lo scioglimento di esercito, marina e aviazione. E che, con il Reich Millenario finalmente dominatore, avesse potuto avere pure agio e inviti per rivendicare la bontà della sua scelta.
Veltroni e altri geni di caratura superiore, non contenti di avere scelleratamente appoggiato il referendum di Segni sul maggioritario – da solo non ce l’avrebbe fatta mai – che portò, di fatto, all’inizio della mefitica personalizzazione della politica, alla microgestione particulare della vita sociale (mi basta che il mio sindaco-sceriffo porti via la monnezza dalla mia città/comunità/quartiere: di quanto mi sta intorno – lo Stato italiano – me ne infischio allegramente) e al crollo dell’affluenza elettorale, decisero che il ‘partito liquido’ fosse la soluzione. Peraltro, l’ex sindaco di Roma, aveva anche avuto modo di dire più volte che lui – già segretario nazionale della FIGC, parlamentare del PCI e direttore de l’Unità – non era mai stato comunista in vita sua, trovando la buona sorte nel fatto che nessuno si prendesse il disturbo di appioppargli un manrovescio che una simile dichiarazione richiedeva a gran voce.

Con simili idee e menti di tale livello, ovvio che all’alba del nuovo millennio l’opposizione fosse poco più che un gettone di presenza. L’impatto con l’euro è semplicemente disastroso, l’attenzione alla criminalità organizzata è vicina allo zero – registra qualche sussulto con la cattura di Bernardo Provenzano, cioè a dire un vecchio che ha deciso di chiamare a sé l’attenzione delle forze dell’ordine in maniera palese al solo scopo di mettersi in pensione: cure mediche, tre pasti al giorno e una stanza singola, il tutto a titolo gratuito; molto più di quanto possa godere la maggior parte dei suoi coetanei, per tacere della vita da schifo che fanno molti altri ricercati. Poi, più nulla, malgrado lavori un’indagine su una certa trattativa fra apparati dello Stato e la mafia, ma tutto sottotraccia, anzi direttamente sotto il tappeto. Covano antieuropeismo (non che eletti e nominati in Europa si dannino l’anima per farsi benvolere), corruzione a livelli perfino maggiori di quelli che muovevano manifestazioni in stile calcistico a sostegno di Mani Pulite, xenofobia che potrà solo peggiorare, svilimento della politica, abbandono del territorio, lotta sistematica alla scuola pubblica, umiliata a servizio eventuale. Il capitalismo finanziario internazionale trova di fronte a sé ostacoli paragonabili più o meno a una prateria sconfinata e priva di asperità; e la crisi è appena dietro l’angolo: decine di milioni di cittadini europei ne stanno ancora pagando il prezzo e la fine non si vede; vengono attuate privatizzazioni selvagge, con la perpetua socializzazione dei costi e centralizzazione dei profitti in sempre meno mani.
Ci sarebbe di che stimolare riflessioni e apparecchiare tavoli di lavoro per riprendere una vera attività politica di sinistra; stante la situazione mondiale (con capi di Stato e di governo di capacità e di livello politico neanche lontanamente paragonabili a quelli del dopoguerra e infatti fioccano conflitti scellerati e migrazioni incontrollabili, per non parlare di quello e quanto ha dovuto subire il popolo greco, sotto gli occhi compiaciuti degli altri meschini, che al suono del ‘meglio a voi che a noi‘ guardano altrove come quando c’è un disgraziato senzatetto sdraiato a terra) ci sarebbe anche l’occasione di provare a essere nuovamente internazionalisti, ma tutto quello che partorisce il Partito Democratico (nome ai limiti del farsesco: neppure i più assidui neonazisti della Bassa Sassonia si definirebbero antidemocratici, se non altro perché manca loro una formazione culturale appena sufficiente per poter criticare con una certa credibilità la democrazia rappresentativa indiretta), è l’ennesima scimmiottatura americana, infiorettata dall’incipit del programma, preso parola per parola dalla Dichiarazione di Indipendenza del 1776 (il ridicolo viene sfiorato spesso da quel ceto politico), nonché da quella specie di obbrobrio elettoral-mediatico, denominato ‘primarie’. Insomma, una specie di orrendo minestrone predisposto da un pool di cuochi dove il sordo mette in pratica quello che gli suggerisce il muto che combina ingredienti scelti da un cieco.

Poi, succede tutto a tamburo battente; sull’onda della crisi mondiale, 2011, il terzo governo Berlusconi viene disarcionato dall’azione combinata e perfetta mossa da Strasburgo e dal Quirinale. Ora, suona alquanto fastidioso che siano proprio le truppe cammellate berlusconiane ad appellarsi alla legalità costituzionale, ma la ‘lettera’ firmata da Claude Trichet e Mario Draghi, non può definirsi colpo di stato solo perché carri armati e occupazione delle sedi radiofoniche suonano malinconicamente vintage: la sostanza cambia poco. Qualcuno, che non fa parte del corpo elettorale di questo Paese, ha deciso che un governo scaturito da elezioni fino a prova contraria esenti da irregolarità, non vada più bene e debba essere cambiato. La sponda viene offerta dal Presidente pro tempore della Repubblica: senza che sussistesse un requisito che fosse uno fra quelli previsti, nomina a tanta gloria Mario Monti e gli affida l’incarico di formare un governo di larghe intese. Toccato il fondo, si comincia a scavare.
Rileggiamo l’articolo della Costituzione in questione, il 59, col neretto nostro: “E` senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.”
Al di là della ridondanza del testo, non risulta che Monti – che, malgrado la vulgata, non era un economista: al più, un laureato in economia, il che significa essere economista tanto quanto l’essere laureato in giurisprudenza sia automaticamente sinonimo di essere avvocato, magistrato o notaio; era uomo di potere, punto e basta, ma questi sono dettagli – avesse in alcun modo ‘onorato’ il nostro Paese nei modi indicati. Tant’è: l’inquilino del Quirinale si serve di questa nomina come grimaldello per forzare la situazione politica e imporlo, in ossequio ai diktat europei e al diavolo il responso elettorale (opposizione inclusa: che, per come si comporterà, se lo sarà meritato). Votino meglio la prossima volta.
Ognuno pensi quello che vuole degli esiti dell’esecutivo guidato da Mario Monti: rimane lo stimma imperdonabile, che non può essere imputato a lui, bensì a tutti i parlamentari di sinistra o asseritamente sostenitori della Costituzione che parteciparono in massa al voto (e di questo prima o poi dovranno essere chiamati a rispondere), una vergogna epocale per la Sinistra, dell’introduzione anno 2012 nella Carta Costituzionale del vincolo del pareggio di bilancio – articolo 81. Suonarono vuote le voci che contestarono una simile operazione: è un dato di fatto che un qualunque candidato all’esame di Diritto Costituzionale che si sognasse di sostenere l’esistenza di un qualsivoglia punto di raccordo fra un tale dettato puramente economico e la Costituzione della Repubblica Italiana, verrebbe cacciato e invitato a ripresentarsi alla sessione successiva con un minimo di lucidità in più.

Difficile immaginare qualcosa di meglio, se la guida politica è affidata a Bersani o D’Alema. Dalle ‘primarie’ del Partito Democratico – neanche sono capaci di farle come dovrebbero essere fatte, posto che potessero accordarsi con la politica italiana – spunta Matteo Renzi. Quale sia stato il suo contributo, unitamente alla squadra di ragazzini, dilettanti della politica allo sbaraglio, è noto a chiunque voglia vedere e constatare: attacco frontale al sindacato, unità d’intenti con la peggiore imprenditoria nazionale, assalto all’articolo 18, leggi sul lavoro che dovrebbero svergognare chi solo le pensasse, chiacchiere fra un gelato, un giubbotto di pelle in televisione e maniche di camicia tirate su, dichiarazioni roboanti. Era destinato a vita politica breve, non avendo il pelo sullo stomaco di Berlusconi, né la sua capacità di raccontare balle: là dove il pregiudicato piduista aveva l’intento e la grande capacità di tenere insieme (per lui un comunista morto è un cliente in meno: meglio tenerlo in vita e parlarne male, per poi convincerlo al sottocosto al supermercato o l’offerta del decoder nuovo), il ragazzotto che credeva di avere un esercito alle spalle era e rimane un divisivo, dunque portato all’isolamento e a ipotizzare rivincite – non considerava che gli italiani perdonano a lungo, ma appena viene meno la convenienza girano le spalle con facilità. Come lo straricco  spende e spande sorrisi e ammiccamenti, celandovi dietro, però, la stoccata. E’ rancoroso e vendicativo – nonché, come non pochi toscani, avvezzo a praticare il sarcasmo ma incapace di sopportarlo – e dunque gli dice male, come a tutti coloro che si fanno strada accumulando più nemici che amici. Chi si circonda di tanti Antonio, poi non si lagni dei Bruto e Cassio di turno.
Tenta un colpo a effetto con una tragicomica bozza di riforma costituzionale. Con tutte le urgenze e le necessità di cui abbisogna il Paese, tiene bloccato per quasi un anno il Parlamento su una vera e propria porcheria e sbraca talmente da riuscire a perdere un referendum da egli stesso voluto (non s’era mai visto che fosse indetta una consultazione popolare da chi aveva ottenuto la riforma con voto di fiducia, ma in Italia non ci si annoia mai). Finisce che i NO incredibilmente superano i SI’ – e si dica, a onor del vero, che gli italiani erano consapevoli e bene informati sul portato di una tale riforma, quanto lo erano gli inglesi sulla Brexit, cioè qualcosa appena al di sopra dello zero virgola, ma nel caso italiano il tutto era dovuto alla scrittura demenziale che componeva la cosiddetta riforma. Nel frattempo, vale a dire più o meno dal 2007, un comico teatrale e televisivo era riuscito a realizzare qualcosa di impensabile: compattare intorno a un movimento, milioni di voti. Non va per il sottile sulla loro provenienza, né se ne preoccupano i suoi accoliti: è un personale pre-politico che da anni si ciba si sciocchezze quali il mantra per il quale non ci sono più né destra né sinistra. Se quelli di prima erano dilettanti allo sbaraglio, questi sono grosso modo ignoranti, comunque puntati verso lo stesso sbaraglio ma, approfittando di congiunzioni elettorali che difficilmente si ripeteranno in futuro, stravincono le elezioni del marzo 2018 e, essendo per l’appunto ignoranti, riescono a farsi governare da un ducetto capace, è pur vero, di resuscitare un partito che galleggiava sul 3%, ma che in fin dei conti aveva raccolto la metà dei voti del composito e confuso movimento.
Ne sortisce un governo a più teste: di avere portato al potere la peggiore destra è responsabilità che grava sui movimentisti; non meno responsabili di loro, quelli del PD – e intendo l’intero PD, perché ancora una volta, nella migliore tradizione del PCI, è mancato il coraggio a tutti. Per alcune settimane dopo le elezioni appare ancora eterodiretto da Renzi. Il divieto di intavolare una forma di trattativa, anche abbozzata, con un movimento che porta con sé milioni di voti di scontenti del centrosinistra – un tesoro da recuperare al più presto, ma ci vorrebbero sapienza e capacità politica, merce rara – sarebbe da considerarsi un gravissimo errore, se non allignasse il sospetto di qualche manovra dietro le quinte. A ogni modo, come ogni esecutivo che si rispetti, quello che giura a Mattarella elargisce promesse; non ne metterà in pratica più che un paio, ma questo non pare preoccupare né loro né chi vi si oppone: un Paese che ha passato un trentennio di rincoglionimento televisivo – non ci stancheremo mai di insistere sul fatto che la campagna elettorale di Berlusconi, è iniziata con la prima puntata di ‘Dallas’: correva il 1980 – è più rassegnato che esigente.
Governeranno poco e male e sarà un disastro per il Paese: oppure governeranno a lungo e male: sarà ugualmente un disastro, ma con un’agonia più lunga. Sperare in un soggetto politico di Sinistra è pur sempre un dovere e per la verità qualche nome c’è e qualche idea: ma dovrà essere transazionale e, si tratta di affermazione fuori discussione, senza NESSUNO di coloro che hanno costituito il personale politico degli ultimi decenni. Diversamente, il resto e il seguito saranno solo accademia.

Cesare Stradaioli

QUELLO CHE RESTA E IL CAVALLO DI BRECHT

Un pomeriggio, nel cortile della casa comunale, a ricordare L.Z., un’anziana compagna che se n’è andata. Partecipo malvolentieri alle onoranze funebri: fra le altre cose (per qualche misteriosa ragione, fa sempre freddo: anche in piena estate) si deve fare conto di ritrovare persone che non si vedono da lungo tempo – e ci sarà un motivo – con le quali si scambia reciproco impegno, che quasi mai sarà mantenuto, di riprendere la passata frequentazione. Preferisco il cordoglio solitario: più adatto a pensare alla persona che non c’è più e a caricarci di una bella e meritata dose di rimproveri per non essersi curati di lei quanto dovuto. Il tempo ci sfugge e non di rado lo lasciamo andare.
Tuttavia, al di là degli interventi, dei ricordi e delle canzoni, alle volte fa bene esserci. Ricordare fa sempre bene e tenere a mente quanto è stato conquistato e come vada mantenuto, fa anche meglio.
Viviamo in tempi bui” è un’osservazione a serio rischio di banalità; non fosse altro in ragione del fatto che pressoché ogni generazione ha avvertito, in larghe parti dei propri componenti, un senso di smarrimento causato dai cambiamenti che fatalmente ogni epoca vive. Denunciare la cupezza dei tempi può anche essere un’ottima scusa per correre ai ripari, mentalmente e materialmente, chiudendosi all’interno di quattro mura per non dover vivere l’angoscia del buio esterno.
D’altro canto, se uno riflette in piena onestà intellettuale e seriamente ritiene che il tempo che gli è dato di vivere sia buio, ebbene che lo dica, a se stesso e soprattutto agli altri: si provveda, insomma, a tenere accesa una fiamma e, possibilmente, ad alimentarne quante più numerose possibile. Quello che resta di una vita che L.Z. ha interamente speso, fin da ragazza, per la causa dell’uguaglianza, della solidarietà, dell’internazionalismo e dell’umanità (e ancora poche settimane or sono, se ne andava in non buona salute per classi scolastiche a parlare di quella Resistenza che aveva vissuto in primissima persona), è quello che è stato detto nella cerimonia di commiato. In realtà, a ben guardare, si tratta di concetti piuttosto semplici (non facili, attenzione), sol che si abbia a mente una considerazione piuttosto elementare: per qualcuno, la lotta di classe non è affatto finita e non pochi (anzi: direi la maggioranza di costoro) si trovano dall’altra parte. Perché c’è sempre, un’altra parte: solo che, nell’immaginario distratto di questi tempi (che, forse, più che bui sono allucinati e sovraesposti alla luce dei led), il concetto di classe e di una qualsiasi attività tesa ad affrancare una classe sociale dalla miseria morale e culturale, viene sistemato, come un bel libro in una biblioteca di legno odoroso ed elegante, sempre a sinistra. Da tempo ci dovremmo essere resi conto che la lotta di classe oggi viene praticata sui fogli della Confindustria e della grande finanza, in terreni nei quali il sindacato non è neppure invitato a prendere un caffè.
Le conquiste non sono eterne. Vanno considerate come situazioni dotate di scadenza, come lo yogurt e, pertanto, a tempo debito e con sollecitudine, rinnovate e rinfrescate. Il messaggio che rimane, che sopravvive in terra alla compagna che ci ha lasciato, non è altro che l’esortazione a vigilare, a tenere d’occhio sempre quelle date di scadenza, avendo ben chiaro nella propria coscienza (e, vorrei dire, anche in un minimo sindacale di esperienza di vita) che, se dalla nostra parte qualcuno dorme sugli allori, possiamo e dobbiamo stare certi che di là non dorme nessuno e che, per ogni conquista strappata a forza di lotte e di mobilitazione, qualcuno, dall’altra parte, se l’è legata al dito e non dimentica. Non sono necessari fiuto e sensibilità particolari: basta guardarsi intorno a naso in alto. Le politiche apertamente reazionarie (in Italia i conservatori si contano sulle dita di una mano e magari ce ne fossero in maggior numero: si potrebbe anche discuterci insieme), gli eterni ritorni a discorsi, frasi, orientamenti politici, apertamente oscurantisti, le tentazioni restauratrici, che più che tentazioni sono veri e propri programmi – basti, uno per tutti, l’esempio della 194 – non vengono manifestati invano, bensì con la certezza quasi assoluta di trovare un terreno fertile, tanto è il letame che viene sparso nelle nostre strade e nelle nostre vite. Che ci sia bisogno che un oscuro magistrato, giudice specializzato in diritto del lavoro, intervenga in un programma radiofonico, nel corso di una trasmissione in cui si parla di costo del lavoro con la beota leggerezza tipica di chi un attimo dopo può parlare del Festival di Sanremo (e meno male che si tratta di un canale Rai considerato di sinistra!), a dire – a ricordare – che per forza di cose il lavoro è una materia particolare, dove non può esserci uguaglianza fra chi presta il lavoro e chi lo retribuisce, in quanto l’ossessiva ripetizione del concetto di lavoro nella nostra Costituzione, necessariamente marca questo squilibrio che deve essere a vantaggio del lavoratore, è la dimostrazione di come, erosione dopo erosione, ruggine dopo ruggine, tarlo dopo tarlo, i valori stessi dei rapporti umani siano degenerati nella miseria e nell’ignoranza più crasse e mortificanti.
Quel magistrato ci parla di una cosa che dovrebbe essere ovvia e che, per contro, ovvia non è: anzi, diventa materia oscura, poco comprensibile, ostile.
Tempo fa mi capitò di vedere un servizio televisivo sulla strage alla stazione di Bologna. Fra gli altri episodi di umanità assortita, quello di alcuni feriti che, aggirandosi verso gli edifici prospicenti smarriti, stracciati e verosimilmente rintronati dall’esplosione, vengono fatti entrare in un grande magazzino il cui gestore (neanche proprietario) provvede a fornire loro scarpe, pantaloni e una camicia, insomma qualcosa da mettersi addosso. Non era richiesto alcun pagamento. Un’altra Italia, fu detto. Non sono passati neanche quarant’anni. Se devo dirla tutta, credo che dal dopoguerra in poi, le conquiste siano state di valore, ma poche. Potevano e dovevano essere di più. E, tuttavia, anche queste non tante (insomma, in Serbia c’è una presidente donna e omosessuale: fa quasi tenerezza pensare quanto lunare una simile cosa sarebbe da noi), devono essere difese, rinforzate, anche perché in non pochi casi sono larghe fasce di popolazione che ne ha beneficiato, quelle che più le ignorano, le abbandonano, se non gli si rivoltano contro, per seguire questo o quel pifferaio che, malgrado i disastri umani e materiali siano sotto gli occhi di tutti, ancora insiste a blaterare di libertà, libero mercato, privatizzazioni, interessi particolari, non c’è alternativa e immondizia del genere.
Come il cavallo di Bertolt Brecht, non appena la conquista invecchia e cede, se ne cibano invece di rinnovarla, di crescerne un’altra in modo da continuare a mantenere quallo che è stato ottenuto con anni di lotte e sacrifici. Il drammaturgo e poeta tedesco ne scriveva 90 anni fa, e questo può sembrare un’enormità, risibile e fuori tempo massimo: se non che, siccome viviamo in un eterno giro di lancette che qualcuno si ostina a riportare sempre indietro, ci tocca di farci nuovamente i conti. Curare, vigilare, preservare quello che si ha, senza imbalsamarlo, ed evitare che finisca mangiato, divorato da una società che, come diceva quello, mangia sabbia perché non gli viene offerto altro che sabbia.

Poiché ero appena cascato – il cocchiere era corso al telefono –
e dalle case si precipitavano uomini famelici a conquistarsi una libbra di carne:
mi strappavano via con i coltelli la carne dalle ossa,
eppure ero ancora vivo e non avevo finito di morire.

Ma la conoscevo da prima, io, quella gente! Erano loro a portarmi
cappucci contro le mosche,

a regalarmi pane secco, a raccomandare al mio cocchiere
di trattarmi bene!

Tanto gentili una volta e ora tanto ostili! Tutt’a un tratto, come cambiati!
Ma che gli sarà successo? Allora mi sono chiesto: che gelo
su questa gente deve essere calato!
Chi sarà che così li percuote e sempre più li fa
irrigiditi di gelo?

E aiutateli, allora! E fatelo in fretta!
O qualche cosa vi capiterà
che non ritenete neanche possibile!

 

Cesare Stradaioli

QUALE FASCISMO

Neppure io vedevo i morti ammazzati per le strade, i regolamenti di conti, le autobomba sottocasa dei magistrati o lungo il Raccordo Anulare, come esigeva un paio di anni fa Giuliano Ferrara, per potersi convincere che a Roma ci fosse la mafia. Eppure, mi pareva (e sono rimasto di questa opinione) di poter dire che nella capitale, come in altre parti d’Italia al di fuori della Sicilia, la presenza mafiosa fosse e sia consistente. Soprattutto nei gangli del potere, direi. Temo che la pretesa di Ferrara rimanesse – tutt’ora: in lui e in molti come lui – legata a una visione anacronistica del fenomeno mafioso; probabilmente connessa con esercizi di violenza e sopraffazione, espliciti per quanto pienamente visibili, che ne darebbero la colorita adeguata alla qualifica di ‘mafiosi’. Credo che gli onesti si sbaglino: e che quelli che onesti non sono, ci giochino sopra. In maniera alquanto sporca, aggiungerei.
Al netto dei risvolti tardoromantici di certe rappresentazioni, la mafia italoamericana descritta da Mario Puzo nel romanzo che poi dette il nome anche alla seria diretta da Coppola, viene rappresentata, nei momenti anche visivamente più spettacolari (ma quelli descritti su pagina, in certi momenti non lo sono di meno) nel diretto esercizio di violenza brutale e definitiva. Ma questo, nella narrazione come i diversi fatti realmente accaduti e documentati, solo quanto viene rotto un determinato equilibrio: nel caso de “Il Padrino”, con l’attentato non riuscito alla vita di don Corleone. Continua a leggere »

IL LIBRO DEL MESE DI NOVEMBRE – Consigliato dagli Amici di Filippo

E’ passata un po’ – immeritatamente – sottotono, nel coacervo di celebrazioni di ogni ordine e grado (e pulpito) del ’68, l’omologa ricorrenza del cinquantenario dell’invasione della Cecoslovacchia da parte dell’Unione Sovietica.
Quanto accadde immediatamente prima e per lunghi anni dopo l’irruzione dei carri armati a Praga, è fuori di dubbio un evento di portata storica tale da essere considerata a buona ragione come l’inizio della fine dell’Urss; che, al pari di una struttura solida ma non abbastanza in grado di flettersi per sopportare i movimenti tellurici, ne subisce gli urti e infine crolla, governata da un ceto politico vecchio nell’animo prima che nell’anagrafe e verosimilmente soggetto alle influenza di un potere militare in grado di condizionarne ogni decisione politica. Non viene compreso, a Mosca, quanto di innovativo – e potenzialmente anche positivo per tutti gli Stati del Patto di Varsavia se solo avessero avuto la capacità di pensare a un rinnovamento senza tradimenti o riscritture della Storia – proveniva da Praga e da quella nuova classe politica capace di uscire dal coro e di avvicinarsi (forse quello costituì il motivo principale che indusse Mosca all’invasione) al modello jugoslavo per un socialismo più umano. Continua a leggere »

POST SCRIPTUM: A MARGINE DEL CASO CUCCHI

Non mi unisco al coro di insulti rivolti al signor Carlo Giovanardi, recenti o meno, a proposito del caso di Stefano Cucchi.
Il signor Carlo Giovanardi è un senatore della Repubblica, eletto da un certo numero di nostri concittadini, ben retribuito per questo (anche, sia pure percentualmente, dalle tasse che versa la famiglia di Stefano Cucchi: perfino i risarcimenti in denaro che avranno, come parti civili, in percentuale infinitesimale, contribuiranno alle prebende del senatore Giovanardi e financo alla sua liquidazione e alla pensione – l’Italia è un Paese meraviglioso). Come senatore e cittadino, ha il diritto di dire quello che pensa, anche sul caso Cucchi: perfino di dire che Stefano Cucchi è morto di noia. La maleducazione non è (purtroppo) perseguibile penalmente, né civilmente. Può dire quello che vuole. Fossero al potere certi scherani del suo gruppo politico, ho seri dubbi che gente che esprimesse altrettanto estremi concetti potrebbe farlo a lungo, ma questa è la democrazia, anche malgrado il senatore Giovanardi.
Come ho detto, non mi unisco al coro. Mi domando, al di là dell’enfasi del momento che può cogliere chiunque, incluso il sottoscritto ben s’intende, a cosa possa servire. Ricoprire di insulti – o di letame: non è un suggerimento, è un esempio figurato – il senatore Giovanardi non restituirà in vita Cucchi, né compenserebbe in alcun modo le sofferenze della famiglia. Per questo, io non credo nella giustizia, se con questo termine si intende la remissione in pristino di una situazione, di una vita, una piena riparazione, insomma.
Niente insulti per Giovanardi. Gli rivolgo, anzi, un augurio. Che viva molti e molti anni e in buona salute, cento e più. Durante i quali possa esprimere tutto quello che gli pare, gli piace e gli fa comodo. A condizione che ogni notte della vita che gli auguro lunghissima, gli appaia in sogno, anche per pochi secondi, il muso – chiamarlo volto non è proprio il caso, visto com’era conciato – di Stefano Cucchi.

Cesare Stradaioli

CHI HA CAGIONATO LA MORTE DEL CITTADINO S.C.?

Qualcuno doveva avere picchiato Stefano C., perché senza aver fatto niente per meritarlo, un giorno ne morì.” Caso mai, in futuro, un qualsiasi oscuro impiegato di una compagnia di assicurazioni avesse in mente di scrivere un romanzo su quanto potrebbe capitare a un cittadino, dall’arresto all’aula di giustizia, attraverso qualche camera di ospedale e infine alla morte, ecco un (non richiesto) suggerimento per un incipit come si deve.
L’articolo 575 del codice penale così recita: Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno.
Cagionare,
non è propriamente provocare. E’ un qualcosa di più, di diverso. Non è la stessa cosa. E nel caso di Stefano Cucchi, che in questi giorni riemerge dai gorghi della dimenticanza – in Italia serve un film, per ricordare certe vicende, almeno per qualche settimana – il significato, se possibile, ne viene amplificato: non fosse altro perché (ed era tempo!) c’è un tribunale a occuparsene.
Non è che vogliamo una risposta. Ce l’abbiamo già. Continua a leggere »

DA CHE PARTE STA CHI SBAGLIA – MA: SBAGLIA?

Da qualche tempo non vedo più Claudio Magris, seduto a leggere o scrivere nella sua solita saletta appartata, all’interno del caffè “Stella Polare” a Trieste. Gli sarà venuto a noia l’incessante baccano che aleggia intorno: oppure l’età non gli consente più tanta mobilità e gli suggerisce di non lasciare casa. Mi – e gli – auguro che si tratti di semplice insofferenza, fondamentale in un uomo di pensiero e di profondità quale è lui. Che dalle pagine de “Il Corriere della Sera” e successivamente in radio, se la prende con coloro i quali invocano l’intervento degli intellettuali, più che altro identificati con chi per mestiere faccia lo scrittore – la definizione è sua. Sono d’accordo. Con ciò intendendo dire, credo di interpretare al meglio il suo pensiero, che sarebbe per contro auspicabile quella che con termine un tantino vintage, un tempo veniva chiamata mobilitazione. Che, per sua stessa natura, prevede una presenza non elitaria bensì allargata. Eppure. Continua a leggere »

IL LIBRO DEL MESE DI OTTOBRE – Consigliato dagli Amici di Filippo

Gioca un po’ con il titolo, Pier Aldo Rovatti, rimandando abbastanza evidentemente a “Il fondamentalista riluttante” del 2012. Come il personaggio del film di Mira Nair, Rovatti pratica la mimesi, tracciando un percorso di opinioni e di giudizi che qui e là sembrano restare nella penombra. Nella raccolta di articoli di prima pagina, comparsi lungo un anno, il 2017, su “Il Piccolo” di Trieste, sua città di adozione – in realtà sono 44, non un anno intero – allo stesso modo del broker straniero in terra straniera, poi tornato a casa con vesti, esteriormente ma soprattutto interiormente diverse, l’Autore tratta con la consueta leggerezza di scrittura, cui fa da contrappeso lo spessore degli argomenti trattati, la consapevolezza del proprio ruolo che finalmente esplicita in maniera decisa solo nello scritto numero 30. Lui stesso, a tratti, sembra uno straniero in terra straniera, quasi che fosse un modo proprio di giungere all’attenzione del lettore. Continua a leggere »

ERRATA CORRIGE

IL COMMENTO DI MAURIZIO VENASCO ERRONEAMENTE RIFERITO ALL’ARTICOLO “LA BICICLETTA DEL CITTADINO QUALUNQUE“, ERA ATTINENTE A QUELLO INTITOLATO “TIRIAMOLI DENTRO, NON BUTTIAMOLI FUORI“.

CS

 

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LA BICICLETTA DEL CITTADINO QUALUNQUE

Sono certo che l’elettore medio del Partito Democratico, come Gonzalo ne “La Tempesta” avrebbe preferito una morte asciutta, se proprio morte doveva essere, al respirare l’acqua annegando miseramente; che è un po’ come preferire morire democristiani piuttosto che scoprire di vivere in un Paese talmente cattolico da essersi scordato di essere cristiano. D’altronde, come diceva quell’altro, l’elettore non sceglie la sabbia perché è stupido, ma perché non gli viene offerto altro che quella. Ora, credo che il suddetto elettore medio non saprebbe che farsene del congresso del Pd, se le frasi e gli stilemi dovessero rimanere gli stessi. Siccome siamo in Italia, alla fin fine la morte che viene sistematicamente annunciata, poi non arriva – quella politica: a chiunque, nella peggiore delle ipotesi, è garantita una quieta e inoffensiva sopravvivenza, sicché la classe dirigente del Pd (e a parlar di classe viene l’orticaria) galleggiando come escrementi sull’acqua paludosa avrebbe pur sempre il posticino in fondo al corridoio, dove un piatto di minestra, una porticina di sagrestia e un assessorato non si nega a nessuno. Continua a leggere »