L’ANALISI: DOV’E’?

Manca l’analisi.
Era una frase tipica degli anni ’70: significava, grosso modo, tutto e anche niente. Nell’intento più onesto, rappresentava una critica all’avventurismo e allo spontaneismo: in quello un po’ più subdolo, era uno schiaffo in faccia, un giudizio definitivo e assertivo che non ammetteva repliche. Se mancava l’analisi, in breve, non c’era futuro e si procedeva oltre.
Oggi, però, l’analisi manca sul serio e la cosa riveste una certa importanza. Lascerei perdere l’indigesta macedonia di interventi a proposito del programma fondativo dell’attuale governo M5S-Lega, nonché la formidabile rappresentazione, a reti unificate e ad alzo zero della potenza di fuoco del pensiero unico; chi scrive non ha ricordi di una stampa così allineata e coperta sulla crisi di governo nata dalle elezioni del 4 marzo, come si sia poi dipanata e infine risolta. Neppure ai tempi più oscuri dei TG Rai in bianco e nero, col predominio informativo saldamente tenuto in pugno dalla parte più retriva e reazionaria della DC c’era un’informazione così miserabilmente prona e in ginocchio, urlante e sottomessa allo stesso tempo. 
L’analisi che manca è quella relativa a un fenomeno che ha portato al governo figure che rappresentano il peggio del dolore e della sofferenza, di una popolazione, la sua ignoranza e la sue grettezza, strappate a viva forza da una politica di sinistra talmente suicida da essere fortemente sospetta di collusione, quanto meno nei nomi dei suoi rappresentanti più eminenti. Da sempre, l’elettorato italiano è stato piuttosto parco di grandi cambiamenti di rotta e la massa dei voti, in un modo o nell’altro, veniva ogni tanto rimescolata e in qualche modo parzialmente redistribuita; perfino all’apice della sua forza elettorale, il PCI non andò oltre il 33 e qualcosa per cento e, per chi non lo ricorda o non lo visse, quella forza godeva dell’energia del sindacato, della mobilitazione di enormi masse di lavoratori e di innumerevoli intellettuali, quali registi, scrittori, attori, opinionisti. Malgrado tutto ciò, quello fu il massimo che l’elettorato italiano produsse, in termini di spostamenti percentuali. Più o meno, anche se con un sistema elettorale diverso, la medesima percentuale ottenuta dal M5S.
Ora, nove anni fa, questa formazione politica non esisteva; più di tre anni or sono, quando Matteo Salvini ne prese la guida politica, la allora Lega Nord stava rischiando di scomparire, navigando (male) a vista intorno al 3-4%. Al momento attuale, vale a dire tre mesi dopo i rispettivi successo elettorali, questi due gruppi politici sono accreditati, stando alle previsioni politiche e sondaggistiche, di una percentuale che se fosse comune andrebbe ben oltre il 50% dei voti.
Qualcono si è fatto qualche domanda intelligente e di sinistra? O magari sono di sinistra? O, stiamo evidentemente parafrasando Nanni Moretti, almeno una qualche domanda? Per esempio, sul come sia stato possibile che una formazione politica senza reti televisive né testate giornalistiche sia riuscita a creare e soprattutto consolidare una tale percentuale di consensi da risultare non solo la prima in Italia come numero di votanti, ma anche in grado di contare su una forza contrattuale inimmaginabile anche solo cinque anni fa mentre, dall’altro lato, un partito politico dichiaratamente razzista e nordista, abbia ottenuto un tale livello di consensi decisamente trasversali, anche se il Nord rimane il suo bacino elettorale principale.
Qualcuno si è chiesto perché un partito come la Lega venga votato da incazzosi e gretti individui che pensano solo al proprio tornaconto personale, razzisti dentro e facilmente accalappiabili dalla propaganda e dal risentimento verso il diverso e lo straniero e anche da degne e rispettabili persone, che fino a qualche anno fa mai si sarebbero sognate di rifiutare aiuto umanitario a gente che scappa dalla guerra e dalla fame, in cerca di un futuro? O che un ex movimento, guidato da un gruppo di baldanzosi imbecillotti venga votato da altrettanti imbecillotti come loro, oltre a un numero variabile di pistoleri della tastiera, buoni solo a spandere odio e balle spaziali in rete e, allo stesso tempo, da gente genuinamente di sinistra che solo in parte li vota augurandosi onestamente che un simile voto di protesta porti a un definitivo repulisti all’interno della sinistra?
Cos’hanno in comune persone che, da iscritti alla CGIL votano Lega e quelle bande di urlanti belluini che straparlano di appartenenza celtica e boiate varie sul dio Po e l’esistenza stessa di una regione che non esisteva prima che qualcuno, trentanni fa, le desse un nome? E cosa accomuna fra loro teste pensanti e lucide, dotate anche di una certa esperienza di vita (o, forse, proprio per quello) ed emeriti idioti che vaneggiano di economia senza saperne un’acca o, nelle versioni più esilaranti, si dicono favorevoli ai vaccini ‘ma non di massa’?
Paura del futuro? Mancanza di lavoro? Mancanza di prospettive future per sé e per i figli? Totale sfiducia nelle istituzioni e nella politica, con avanzamento talmente pericoloso in questa direzione da far temere di essere arrivati a un punto di non ritorno? Povertà, economica e culturale? Regressione utilitaristica? Ribellismo senza costrutto?
Non sono costoro, a mancare di analisi politica: non è a loro che spetta. E’ la sinistra a essere gravemente carente sotto questo punto di vista, avendo abbandonato da tempo ogni contatto con quello che una volta si chiamava popolo, cittadinanza e che adesso è diventato (e non per colpa sua) una massa allo stesso tempo informe e omogenea di rabbia spurgata in ogni momento della giornata di vita. Come è stato possibile un simile travaso di voti – e l’immediato futuro non dice niente di buono e di meglio -? Osservate, per cortesia, senza faziosità e senza pregiudizi di sorta, cos’è stata negli ultimi 20 anni la politica concreta (non gli splendidi voli pindarici in pubblico o le corpose riflessioni in privato), attuata da quelli che si definivano, con un’autoreferenza che è finita nel marcio del doppiogiochismo, ‘di sinistra’. Il cosiddetto ‘Job’s Act’ nasce dalle ceneri idologiche dei contratti di formazione e lavoro, altro e più elegante nome da dare al caporalato, introdotti dal centrosinistra al governo nel fine secolo XX; la legge razzista chiamata ‘Bossi-Fini’ è nata dall’ispirazione (e dalla struttura giuridica) della ‘Turco-Napolitano’, che purtroppo non richiamava Totò. Questo per dirne due e basta.
Checché ne pensi il mite e prode Mattarella, per il quali sono state spese lodi perfino imbarazzanti nella loro paraculaggine e nel loro vuoto culturale (si sono autodefiniti difensori della Costituzione gli stessi infami che nel 2016 volevano stravolgerla e riscriverla a favore del duo canoro Renzi-Berlusconi, l’essere dotati di faccia di merda non è più cosa di cui vergognarsi…), l’Italia non è coesa: non è mai stata tanto divisa. Divisa in due: un’Italia di brave persone che o non votano o votano il residuale e che subiscono rassegnatamente questa ondata; e un’Italia ‘mista’, composta da altre brave di persone e da puttane di ogni sesso, magnificamente e mai così esattamente definite: LORO. E questa seconda Italia esprime nelle urne e non nel mugugno la propria insoddisfazione e la ricerca di un riferimento politico.
Una ventina d’anni or sono, poco meno, Filippo Ottone preconizzava fra il serio e il faceto (e quando li mischiava, era serissimo) l’andata al governo del Bar Sport. Purtroppo, come spesso gli capitava, ci aveva preso anche quella volta. Sono arrivati al governo e non hanno fatto un colpo di stato. E tutto per una tragica per quanto colpevole mancanza di analisi.
Cesare Stradaioli

 

Di nuovo su: NON CONDIVISIBILE NON DIFENDIBILE

Dunque: nel legittimo esercizio dei suoi poteri costituzionali, il presidente della Repubblica interloquisce sui vari ministri. A proposito del professor Paolo Savona, respinge al presidente del consiglio incaricato Conte la sua proposta nomina al dicastero dell’Economia. Motivo: il profilo personale e le opinioni di Savona intorno alla questione dell’euro, specie in relazione alla sua convinzione che l’Italia potrebbe e dovrebbe prendere in considerazione l’uscita dalla moneta unica europea, vengono giudicati non idonei.  Per dirla neanche tanto fuori dai denti, viene fatto specifico riferimento al rischio che avrebbero corso i risparimatori italiani e la credibilità finanziaria dei titoli di stato: in buona sostanza, il nome di Paolo Savona non sarebbe suonato traquillizzante in ambito europeo.
Bene.
Notizia di poche ore fa: il professor Conte torna al Colle con una nuova lista di ministri, al cui interno troviamo nuovamente il nome di Paolo Savona. Ohibò: ma come? Di nuovo Savona? L’avranno rimesso dentro per non suscitare l’ira funesta di Salvini, ma sicuramente gli avranno dato un ministerucolo: per dire, il Turismo o la salvaguardia dei tetti cittadini. No. Paolo Savona verrà presentato come ministro per i rapporti con la Ue. Cioè a dire, arguta definizione di sir Peter, gli hanno tolto un mitra in quanto pericoloso e gli hanno dato un bazooka.
Voglio proprio vederlo, il prode presidente Mattarella, stringere la mano a un ministro, non più tardi di cinque giorni fa giudicato indatto a fare parte di una compagine governativa, nonché inviso all’Europa, per poi assistere al suo giuramento e alla firma come ministro per i rapporti con quella stessa Europa.
Come diceva quello sepolto a Highgate, la storia prima si presenta come tragedia e poi come farsa: e dove meglio, se non nel Paese del melodramma?
Cesare Stradaioli

Replica a : NON CONDIVISIBILE NON DIFENDIBILE

Non sono d’accordo con quello che hai scritto. Io il Presidente Mattarella l’ho visto come un salvatore: mettere al Ministero dell’economia un personaggio,  che ipotizzava un’ uscita dall’euro da farsi in un fine settimana, di nascosto dai cittadini,  è cosa che mette i brividi per due ordini di ragioni: la concezione che ha questo soggetto della democrazia e il cinismo, la non curanza totale del destino di tantissimi di noi che vivono sereni grazie alle loro entrate e ai loro risparmi. Non mi dire che queste affermazioni  di Savona sono decontestualizzate : stanno in un libro e tutti conoscono la cura l’attenzione che gli studiosi mettono nella stesura e revisione dei loro scritti. 
Ho quindi firmato a sostegno del Presidente, che ringrazio per essersi esposto, quando avrebbe potuto far finta di niente e lasciare che le cose andassero per il loro verso, rimanendo tranquillo a godersi lo spettacolo.
 
Silvana Biassoni
 

NON CONDIVISIBILE NON DIFENDIBILE

Signor Presidente della Repubblica,
no.
Non sono d’accordo con Lei e non condivido il Suo comportamento.
Mi rivolgo a Lei, ignorando volutamente le mosche cocchiere che, con fragor di tuoni e furor di lampi ragionano e parlano a capocchia, improvvisandosi – non richiesti – Suoi difensori d’ufficio.
Nel campo degli studi che si occupano di scienza del comportamento ci sarà senza dubbio una definizione, una categoria per dare un nome a quel particolare modo di ragionare che, a titolo di esempio, porta l’interlocutore A, al quale l’interlocutore B dice che non gli garba il suo modo di vestire, a rispondergli piccato: “Stai attentando alla mia libertà di vestirmi come mi pare!
E’ un po’ quello che fanno queste mosche cocchiere, specialmente i redattori dei principali quotidiani nazionali, che vanno a raccogliere (o, forse, se le inventano) decine di opinioni dei lettori che “testimoniano” l’attaccamento alla figura del Presidente della Repubblica, benedicendo la buona sorte italiana di averci dato l’istituzione del Quirinale, e maledicendo per contro i nuovi barbari che vogliono comprimere e infine ridurre al minimo il peso del ruolo da Lei ricoperto. A fronte di una critica, non altrimenti interpretabile rispetto al senso letterale che ha, condivisibile o meno, secondo la quale Ella, opponendo un rifiuto alla nomina di un certo signore quale ministro del governo M5S-Lega, è uscito dall’ambito dei Suoi poteri (lascerei perdere i deliri che chiamano all’impeachment: parlassero e scrivessero in lingua italiana, una volta ogni tanto!), costoro levano alti lai, chiamando a raccolta i patrioti italiani, tutti stretti e uniti a difendere il Presidente da chi vuole impedirgli di porre un legittimo veto su questo o quel ministro, sbandierano a piene mani quasi come fosse una vela al vento quella Costituzione che fino al 4 dicembre 2016 molti di loro volevano stravolgere e ricordando a tutti qualcosa che neanche il più accanito dei leghisti ha contestato, vale a dire il suddetto diritto di veto.
Ho scritto che mi apprestavo a ignorare quelle mosche cocchiere: me ne sono invece occupato fin troppo e me ne scuso.
Non posso condividere il veto da Lei posto alla figura del professor Savona che, detto per inciso, non conosco personalmente il cui nome a malapena ricordavo quale membro di un non indimenticabile governo Ciampi. Coloro che, in buona fede, rispolverano il veto opposto dal presidente Scalfaro a Berlusconi, allorché ebbe la faccia di palta di proporre al dicastero della Giustizia nientemeno che Cesare Previti, o quello (è notizia di qualche giorno fa, di quelle che politici e giornalisti si scambiano ammiccando e condividono con gli ascoltatori con l’aria di “questa non la sapevate, eh?” – no, davvero non la sapevamo e non fa ridere neanche adesso, detta anni dopo) posto dall’ex Presidente che non nomino, al quale (dovette parere impensabile perfino lui, che di cose impensabili ne disse e ne fece a forconate) sembrò non accoglibile la proposta che Matteo Renzi fece nel 2014 di tale Lia Quartapelle – già membro della Trilateral, una specie di loggia massonica internazionale – come titolare di un trascurabile dicastero quale quello degli Esteri, sono fuori strada. Quelle valutazioni furono sulla persona: sia in quanto il primo all’epoca era sottoposto a indagini (poi processato e infine condannato definitivo), sia in quanto – la seconda – fortunatamente giudicata non opportuna per un ruolo così importante. Giudizi squisitamente politici, che rientravano a pieno nelle prerogative del Quirinale.
Il motivo per il quale Lei ha bocciato il nome di Paolo Savona quale ministro, invece, è basato su ipotesi – azzardatissime, aggiungo, perché a dire certe cose in pubblico bisogna essere molto cauti: Lei, per solito, lo è e questa Sua deplorevole uscita suscita più sorpresa che indignazione – fondate su frasi e scritti presi qui e là, del tutto decontestualizzati e, in ultima analisi, afferenti alle opinioni personali di chi viene proposto come ministro, in questo caso, tu guarda la coincidenza, sull’euro. Non si può, signor Presidente, non si deve esprimere simili giudizi in uno scenario quale quello della presentazione della lista dei ministri, proprio in quanto riferiti alle opinioni. Che, di passaggio, quello che Lei ha detto sia pienamente condiviso da certi personaggi di riferimento della UE o dei cosiddetti ‘mercati’, vale a dire persone non elette e che, pertanto, non devono rispondere delle cose che dicono e fanno, personalmente mi lascia indifferente: penserei e scrivere le stesse cose anche se le Sue idee fossero in linea con quelle di alcuni fra i miei migliori amici – e non le dico le discussioni con alcuni di costoro: al limite e qualche volta oltre l’offesa, tanto poi ci si ritrova.
Non potendo condividere il Suo gesto, che temo consegnerà altri svariati milioni di voti alla Lega – e lo so anch’io che il popolo può essere populista e spesso lo è (abbiamo letto anche noi qualche libro) ma già che lo è di suo, non mi pare il caso di aiutarlo a esserlo ancora di più – è perfino ovvio aggiungere che non posso considerare difendibile la Sua posizione di rappresentante di tutti gli italiani e di contrappeso e garanzia – il senso vero e primo che i costituenti vollero dare alla figura del Presidente di una Repubblica parlamentare. L’errore da Lei commesso è di quelli non emendabili: non fosse altro perché, da oggi in avanti fino alla scadenza naturale del Suo mandato, potrebbe esserLe rinfacciato, a torto o a ragione poco importa; per non parlare del fatto che, qualsiasi altro Suo gesto, diciamo politicamente ‘favorevole’ a quello che ha posto la Sua figura in rotta di collisione con i due partiti che componevano la maggioranza di quel governo mai nato, sarebbe sicuramente interpretato quale gesto riparatore, alla stregua di un arbitro che essendosi reso conto di avere preso un clamoroso abbaglio danneggiando una squadra, ne prende volutamente un altro di segno opposto, a mo’ di compensazione. Si sa che due cose sbagliate non ne fanno una giusta, ma molti fanno finta di ignorare questa perla di saggezza.
Pertanto io mi rivolgo a Lei con un primo auspicio e cioè che prima o poi un governo di una certa stabilità finalmente ci sia in questo sventurato Paese – che servano o meno nuove, immediate elezioni è cosa che mi interessa poco; un attimo dopo di ciò, il mio secondo auspicio è che Lei faccia la cosa più onesta e nobile che potrebbe fare, vale a dire rassegnare le dimissioni. Riconoscere di non essere all’altezza di un compito particolare (non lo devo dire certo a Lei: se mai alle mosche cocchiere di cui sopra) è quanto di più maturo, responsabile e degno di un servitore dello Stato (quale è Lei) si possa immaginare. Lei non ha bisogno di dimostrare la Sua statura di uomo e giurista a persone quali il sottoscritto: lo faccia con quelli che, in buona o malafede (la seconda che ho detto, credo), pelosamente fingono di difendere il Quirinale e invece non fanno altro che difendere le loro figure autoreferenziali e inadeguate a parlare e scrivere di cose più grandi della loro cultura e della loro onestà.
Rispettosamente, La saluto
Cesare Stradaioli – inoltrata il 30 maggio 2018

ANCORA SUL VINCOLO DI MANDATO

E’ il caso di ritornare sulla questione del vincolo di mandato parlamentare, cercando possibilmente di non ripetere cose già dette. L’articolo della Costituzione che ne tratta, il 67 è, non per caso, secco e conciso e, per questo, chiarissimo e il suo inserimento nella Carta fondamentale della nostra Repubblica fu un qualcosa di profondamente innovativo e, in certo qual modo, ‘eversivo’. Di fatto, la statuizione dell’assenza del vincolo di mandato parlamentare all’interno della Costituzione, che lo rende emendabile solo con procedura particolare, sanciva un passo avanti di civiltà giuridica di notevole spessore.
Nel concreto, l’intenzione dei compilatori era quella di sottrarre, per quanto possibile, il ruolo di membro del potere legislativo ricoperto da ogni parlamentare alle ingerenze di poteri politici ed economici. L’esperienza del fascismo, la cui genesi fu dovuta com’è noto alla pesante ingerenza degli agrari emiliani che lo finanziarono, doveva costituire una preoccupazione non da poco per coloro che si occuparono della questione, sicché venne deciso che l’indipendenza di giudizio e di azione di ogni deputato e senatore fosse tutelata, quanto meno nelle intenzioni, dall’assenza di vincolo di mandato. Il che, in poche parole, significa che ogni parlamentare è sì, eletto su proposta di un partito o gruppo politico, in quanto inserito nelle relative liste ma, una volta divenuto parlamentare, gli è consentito di esercitare la propria libertà a prescindere dalla linea politica del proprio partito, a costo di andare contro di essa e questo in quanto egli è, prima di tutto, rappresentante della Nazione, oltre che di coloro che hanno indicato il suo nome al momento del voto.
Gli estensori della Carta costituzionale dovevano, in tutta evidenza, ritenere altamente improbabile che questo o quel deputato o senatore decidesse di lasciare il proprio partito per aderire a un altro e certamente non si immaginavano quello che accadde svariati decenni dopo, quando centinaia di parlamentari avrebbero lasciato una formazione per entrare in un’altra, spostando a tal punto gli equilibri politici all’interno del Parlamento, da provocare vere e proprie crisi di governo e altrettanto clamorosi cambi di maggioranza. Invero, non esiste nella Costituzione alcun correttivo, da utilizzarsi in caso di spostamenti da un paritto all’altro, da una maggioranza all’altra, altamente sospetti di corruzione, interessi privati o semplici ricatti politici. Sembra giunto il momento di intervenire.
Troppi gentiluomini quella volta o troppo pochi adesso, sta di fatto che non basta osservare e declamare quanto sia scandaloso che una persona che ha assunto un ruolo di tale importanza nella società in cui vive e lavora, possa prestarsi in maniera così frequente e per certi versi spudorata all’accettare denaro o trovarsi in situazioni che la rendono vulnerabile in quanto ricattabile, allo scopo di cambiare partito e, quindi, di influenzare in maniera così sporca e disonesta la vita politica nazionale. Limitarsi a commentare i dati di fatto senza fare ulteriori passi in avanti è come restare di guardia a pettinare il gatto, come fa dire Sciascia a uno zelante sbirro, in uno dei suoi romanzi. Siamo sommersi dai dati di fatto, diceva quello: serve un’idea o in quei dati di fatto finiremo per annegare e l’idea – a costo zero, dunque senza necessità di una copertura finanziaria – è di imporre a ogni parlamentare eletto un preciso vincolo di mandato, che sia finalizzato a evitare quella vergogna senza limiti rappresentata da quegli immondi ‘cambi di casacca’, che rendono quelle casacche niente altro che capi di vestiario fatti con il riciclo di carta igienica usata.
Sono due le obiezioni che si incontrano, ad avanzare questa proposta.
Coloro che muovono la prima ritengono che una simile modifica costituzionale, sia pure mossa da principi condivisibili, rischierebbe (anzi, la cosa è data per certa) di sottomettere tutti i parlamentari alla linea politica – o al diktat del momento – cui si ispira il partito o gruppo di appartenenza. I sostenitori della seconda si limitano all’osservazione, per lo più accompagnata da cenni di malcelato fastidio, che si tratti di una proposta comune, recentemente formalizzata da M5S e Lega che, mentre scriviamo, si apprestano a creare il primo governo di questa legislatura. Di questa seconda obiezione non mi importa un accidente e neanche la prendo in considerazione, essendo abituato a occuparmi di quello che viene detto e raramente di chi lo dice.
Quanto alla prima, trovo che sia ragionevole e fondata, ricambiando il giudizio di condivisibilità. Ragionevole e fondata e, però, fuorviante. Per il semplice fatto che fa di ogni erba un fascio, per così dire e, verosimilmente in linea con un modo di pensare e agire squisiatamente comtemporaneo, che comporta un tempo di analisi e decisione temporalmente vicino allo zero – e, di conseguenza, estremamente carente sotto il profilo dell’analisi.
La politica, in fondo, è piuttosto semplice e altrettanto semplici sono molti dei suoi meccanismi. Basta capirsi e parlare la stessa lingua. Imporre il vincolo di mandato non necessariamente significa obbligare il singolo parlamentare a votare secondo le direttive provenienti dalla segreteria o dal leader del partito. L’introduzione del vincolo di mandato si concreta, detta in maniera più semplice possibile, come segue: mio caro, sei stato eletto dagli elettori perché sei in quel partito o gruppo politico, niente di più e niente di meno. Sei certamente, come dice la Costituzione, rappresentante di tutti gli italiani, ma non da tutti sei stato votato e questo non può passare in secondo piano, specie in questo periodo quando si parla (a ragion veduta e, talvolta, a sproposito) di rappresentatività. Di conseguenza, se la tua coscienza ti impone di non poter più seguire la linea o la strategia complessiva del tuo partito (che, si presume, deve essere alquanto cambiata, dai tempi della campagna elettorale, durante la quale chiedevi i voti agli elettori) e, dunque, di non riconoscerti più in esso, ebbene non devi e non puoi fare altro che dimetterti. Passare a una formazione politica diversa, non di rado di posizioni ab origine alternative a quella che ti ha fatto eleggere e pretendere che tutti noi si creda trattarsi esclusivamente di uno scrupolo di coscienza e non perché hanno promesso a te o ad altre persone denari o utilità di natura diverse, ovvero di non mandare a tua moglie o ai giornali le foto in cui ti si vede toccare una bustarella o il culo di una miorenne, come dire, al giorno d’oggi non è cosa. Per non parlare di come dovrebbero sentirsi i tuoi elettori: belli e contenti di avere mandato in Parlamento – a spese di tutti e, quindi, anche loro – uno che poi è passato dall’altra parte.
Non siamo in tempi di gentiluomini, come forse un po’ ingenuamente ritenevano i padri costituenti: le canaglie affollano ogni ganglio dello Stato e della società civile e il Parlamento non ne è esente, per cui fino a quando in Italia non si scenderà a un livello di corruzione che sia accettabile nel mondo degli umani (vale a dire fra molto, molto tempo, considerate le sozzerie di cui veniamo a conoscenza tutti i giorni), imporre un minimo di decenza – perché altro non è – sotto forma di un vincolo di mandato non pare essere così grave. Continuo a pensare che il numero di oltre 600, tanti sono i parlamentari che nelle ultime legislature hanno lasciato il partito che li aveva candidati, sia uno sconcio che non abbisogni di aggettivi.
Quanto all’indipendenza del singolo parlamentare e alla sua sacrosanta libertà di coscienza e di voto, per fugare i dubbi di cui alla prima obiezione, basterà abolire il voto segreto in aula e queste sublimi e misconosciute virtù brilleranno di luce propria. Sarebbe da provare a chiedere agli elettori se a loro dispiacerebbe sapere come votano i parlamentari così lautamente retribuiti. Anche col vincolo di mandato.

Cesare Stradaioli

IMPEGNI CHE NON SARANNO RISPETTATI

Non faranno niente. Quasi niente. Il possibile governo di intese che più larghe (ma, sotto certi aspetti, più ristrette) non potrebbero essere – per usare una definizione tanto cara all’ex Presidente della Repubblica che mi urta anche solo farne il nome e perciò evito di farlo – se mai entrerà nel pieno dei poteri e se avrà la possibilità di lavorare appena un po’ più a lungo di un governicchio balneare di una volta, non riuscirà a mettere nel concreto i più significativi e attrattivi punti dei rispettivi programmi elettorali.
Non ci saranno rimpatri, se non in misura limitata, che alla fine risulterà del tutto insufficiente, agli occhi di coloro che hanno votato Lega e – qualcuno – il M5S. La cosa, mettendo da parte per un momento l’aspetto più squisitamente umano, è improponibile: non si può fare. Per due fondamentali ragioni.
La prima: gran parte dei cittadini migranti che si trovano nel nostro Paese è sprovvista di passaporto, o perché sono entrati senza averne alcuno oppure (casistica molto più frequente) è stato loro requisito dai criminali che trafficano in esseri umani, come pegno per il lavoro – e conseguente remunerazione – che dovranno svolgere a qualunque prezzo umano per ripagare i suddetti gentiluomini, pena non infrequenti ritorsioni nei confronti delle famiglie rimaste nel luogo di origine. Per non parlare del fatto che, per diversi anni, molti di costoro si dichiaravano di nazionalità palestinese, per ottenere un visto umanitario – e come biasimarli: si fa di tutto, quando si è disperati. Sicché, elementare Watson, mancando una patria di riferimento, appare difficile il rimpatrio. (Alle volte bisogna metterla sul sintetico e mezzo scherzoso, altrimenti qualcuno non capisce.)
La seconda ragione poggia sulla considerazione, quasi altrettanto elementare, per la quale quand’anche fosse possibile sapere con certezza da dove viene quel certo numero di cittadini migranti che si vorrebbe rimandare a casa propria – supponiamo il Ciad oppure la Nigeria – qualcuno dovrebbe essere così cortese da illustrare, con dovizia di particolari e non per slogan: 1) per quale ragione le autorità libiche (quali?) dovrebbero a loro volta accoglierli, posto che dalla Libia provengono ma naturalmente neppure le suddette autorità (insisto: quali?) hanno la certezza di quello che segue e cioè: 2) detta brutalmente, chi garantisce che le autorità ciadiane o nigeriane li riprendano indietro o non si inventino che tale monsieur o mister non sia effettivamente un loro connazionale censito, e magari non ci risulta per cui vedete (voi autorità libiche) di riprendervelo indietro.

Non ci saranno ‘respingimenti’. Cosa intende, il leader della Lega, con questa parola? Che forze armate italiane impediranno a un barcone di disgraziati di attraccare a un molo? E che significa? Tenerlo a mollo nel golfo di Mazara del Vallo, lasciare esseri umani a morire di fame e di sete sotto le telecamere di decine di emittenti pubbliche e private?
Intende forse che le suddette forze armate navali presidieranno migliaia di chilometri di confini attinenti alle acque territoriali? Con quali e quanti mezzi? Con quali fondi? Con quali uomini (sarò, contrariamente alla mia natura, eccessivamente ottimista, ma non me li vedo ufficiali e marinai italiani ricacciare in acqua chi si avvicina a un’imbarcazione battente la nostra bandiera)? E a quali acque territoriali si riferirebbe questo presidio, dal momento che buona parte di esse, specie verso la Tunisia, sono controverse?

Non entrerà in vigore alcun reddito di cittadinanza, né verrà istituita alcuna flat tax. Esiste una Costituzione, in questo Paese – e dovrebbero saperlo bene i M5S che, a onor del vero, sono stati i suoi più strenui difensori contro gli assalti dell’armata Brancaleone renziana, allo stesso modo in cui dovrebbero saperlo anche i leghisti, che non di rado in passato l’hanno nominata quale alternativa al tricolore per determinate, vitali funzioni di buona convivenza e di igiene personale. Ebbene, questa Costituzione prevede che, ove necessario (e nei due casi di cui sopra, mai così concretamente) si impone una chiara e dettagliata copertura finanziaria per la promulgazione di una legge da parte del signore che sta al Quirinale. Non c’è, non adesso, non nel futuro prossimo, a meno che non venga preliminarmente istituita una imposta patrimoniale, cosa che sembra essere del tutto estranea ai programmi politici dei due schieramenti che dovrebbero allearsi.

Non verrà risolta alcuna emergenza criminale. Non esiste, al momento e da un bel po’ di anni, alcuna emergenza criminale nel nostro Paese. O meglio: non esiste, se parliamo di microcriminalità. Dati alla mano, dalle Procure giungono dati omogenei e in costante linea, che parlano di calo delle rapine, dei furti, e in genere della criminalità legata agli stupefacenti. In realtà, a parte la criminalità legata alla corruzione, esiste eccome un’emergenza ed è quella della criminalità organizzata, che ormai è entrata con tutte e due le scarpe nel sistema economico e politico italiano. Non risulta, però, che lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata – che di essa si nutre e a sua volta nutre – siano questioni sul tappeto degli statisti grillini e leghisti.

Non verrà sfiorata neppure per sbaglio la tragedia dei morti e feriti sul lavoro.

Non si parlerà neanche per sogno di un piano industriale che, in ogni caso, quand’anche iniziasse alla fine della lettura di questo articolo, necessiterebbe di una decina di anni – a essere sfrenatamente ottimisti – per portare i primi frutti consolidati e il ceto politico che ci ritroviamo non vede oltre il prossimo lunedì mattina.

Non verrà affrontato alcun problema concernente la scuola.

Tutto questo, e molto altro, per la semplicissima ragione che non esistono, né presso il M5S, né presso la Lega, intelligenze, competenze, autorevolezze, presupposti culturali e spirito di servizio in quantità e qualità sufficienti per operare in senso positivo e smentire le pessimistiche affermazioni che qui vengono scritte – con una certa dose di assertività che l’autore rivendica.
Danni, sì: ne faranno tanti. Posto che un governo Lega-M5S ci sia. Il che, grazie alla buona sorte che da sempre, per ragioni misteriose e insondabili, accompagna questo sventurato Paese, non dovrebbe vedere la luce.
Ma, dopo, non si dica che non lo si era detto. Come non si dica che non era stato detto che, ove mai un simile obbrobrio avesse corpo e operatività, di ciò la responsabilità politica e storica ricadrà quasi interamente sul Pd renziano: primo, per avere introdotto (imponendola con la fiducia, tanto per aggravare il tutto) una legge sintatticamente schifosa e politicamente idiota; secondo, per avere sdegnosamente e bambinescamente rifiutato di supportare un governo M5S che, con tutti i limiti di cui si è parlato, poteva teoricamente costituire un’opportunità, perfino di recupero di un certo elettorato – sempre a condizione di vedere un po’ più in là del proprio naso.
Teoricamente, certo: con buone possibilità di essere, alla fine, deleterio.
Un governo Lega-M5S non sarà TEORICAMENTE deleterio: lo sarà nel concreto e sarà una sberla per tutto il Paese. Anche per quelli che dovranno pur subire il detto che l’Italia avrà il governo che si merita, ma che in cuor loro sanno di avere il governo che meritano gli altri.

Cesare Stradaioli

 

UGUALI E DISEGUALI

C’è un particolare, nella sommatoria di discussioni, confronti, commenti e inchieste sulla crescente disuguaglianza sociale, in Italia e altrove, sistematicamente presente e che, per questo, non può non essere notato: la disuguaglianza, quella che viene chiamata ‘forbice’ fra chi poco aveva prima (e ancor meno ha adesso) e coloro che molto avevano e tantissimo di più hanno ora; quel fenomeno economico e sociale che condanna decine di milioni di persone all’isolamento culturale, alla regressione sociale e a una vita di miserabile e affannosa sopravvivenza, a favore di una ristretta fascia di detentori e utilizzatori di enormi ricchezze e agibilità alla cultura e alla crescita umana e sociale; tutta questa combinazione di fatti viene trattata alla stregua di una sorta di maledizione o di un fenomeno atmosferico, inevitabili e imprevedibili, rispetto ai quali l’intervento umano, preventivo e successivo, è confinato al poco o niente.
Non si tratta di banalizzazione; non si tratta, se non in ristretti e trascurabili casi, di pressapochismo o imprecisione, chiacchiere da salotto televisivo stracciaculo: tutt’altro; si tratta, invece, di un preciso intento, di una metodologia, diremo così, strutturale, pensata e praticata al preciso scopo di escludere a priori la minima possibilitià che se ne parli e che la si analizzi in maniera seria e approfondita. Per il semplice motivo che analizzare un problema, significa conoscerne i contorni, le ragioni e la sua stessa natura; di lì, capirne gli effetti su una particolare situazione e quanto meno provare a risolverlo, il passo è tanto breve quanto logicamente e concettualmente inevitabile.
Detta in altri e più sintetici termini: fare passare – meglio: perpetuare – il nefasto assioma di natura thatcheriana, che così tanti disastri (umani e politici) ha causato, altrimenti noto come ‘Non c’è alternativa’ che, nel caso specifico, significa che le cose stanno così, il mondo non è come vorremmo che fosse ma è come è e per adesso non c’è niente da fare, ci dispiace non sapete quanto (la variante scuola ‘Chicago Boys’ è, più o meno: sei povero? vedi di rinascere ricco, la prossima volta), speriamo in meglio e avanti con la cronaca nera e la ricca pagina sportiva.
Ora, un simile modo di pensare e di praticare politica è tanto idiota quanto criminale e criminogeno; e, malgrdo se ne cerchi uno di diverso, al solo scopo di non utilizzare sempre la medesima parola, proprio non se ne trova di migliore e maggiormente preciso allo scopo di definire ed evidenziare la questione. Per farla breve: è criminale chiunque dica o voglia fare intendere a scopo propagandistico che la crescente povertà, l’accaparramento di denari, risorse e opportunità in mano a pochi, la consapevole sottrazione di una dignitosa pensione, di un futuro per intere generazioni, di un’ipotesi di vita diversa, di un modo differente di pensare alla vita, siano disgrazie naturali e tremende, alle quali al momento l’uomo, la classe politica, quella intellettuale, i componenti della società democatica, eletti ed elettori nulla possono opporre. E va usato il termine ‘criminale’, lo si dica senza remore di sorta, perché le parole esistono e bisogna pur usarle e chiamare le cose con il loro nome a ragion veduta, ogni tanto.
Non è un fenomeno naturale lasciare che una cerchia di persone decida, per l’intera economia mondiale, dei prezzi dei beni di prima necessità.
Non sono fenomeni naturali né le emigrazioni, né le migrazioni – che, peraltro, benché usati a sproposito come sinonimi, sono eventi epocali tutt’affatto diversi fra loro.
Non è un fenomeno naturale che ai cosiddetti mercati, strutture nelle quali la disguaglianza di posizioni nella trattativa è elemento fisiologico e NON patologico, sia consentito interferire nelle scelte politiche di questo o quel governo.
Non è un fenomeno naturale che, sistematicamente, senza eccezione di sorta – intendo ripeterlo SENZA ECCEZIONI DI SORTA – un servizio, una somministrazione, che si tratti di energia, trasporti, poste, strutture sanitarie, una volta intervenuta la privatizzazione con lo Stato che fa retromarcia, presenti profitti agli azionisti e una qualità peggiorata per gli utenti e i cittadini, con aumenti dei costi sostenuti e del tempo (che è un valore supremo per l’essere umano) impiegato e perduto, letteralmente buttato dal singolo cittadino nel tentativo di attivare un servizio, modificarlo, cercare di superarne l’opacità e, in definitiva, ogni qual volta cerchi di comunicare con un altro essere umano tramite quell’oscenità chiamata ‘call centre’, per esercitare un diritto, non una concessione.
Non è un fenomeno naturale l’incapacità di immaginare e mettere in pratica un modo nuovo e diverso di concepire il lavoro, che è l’essenza della vita umana, oltre che uno dei pilastri della nostra Costituzione.
Non è un fenomeno naturale che decisioni di fondamentale importanza per la società, l’economia e il futuro dell’Europa siano demandate a un gruppo di ‘ottimati’, che non devono rispondere a nessuno perché nessuno li ha né candidati né tantomeno eletti e, ciò malgrado, spendano senza ritegno la parola democrazia, con evidente noncuranza del suo etimo.
Non è un fenomeno naturale istituire una moneta comune per diversi Stati e, nel fare questo, ribaltare arbitrariamente e senza alcun mandato in proposito un principio elementare contenuto in qualsiasi trattato di Dottrine Politiche, che vede l’entrata in vigore della moneta quale fattore ULTIMO, in una struttura statuale, non primo.
Non è un fenomeno naturale il proliferare metastatico del potere della criminalità organizzata, che da tempo si è incistata nei gangli economici e sociali del nostro come di altri Paesi, sotto forma di investimenti immobiliari, nel giro delle scommesse legalizzate, nel mercato degli stupefacenti, nella gestione della prostituzione, nel traffico di esseri umani, nel controllo del mercato ortofrutticolo e via discorrendo.
Non è un fenomeno naturale lo spreco nella sanità, nell’acqua pubblica, nello schifoso mercimonio della corruzione, delle mazzette, degli appalti pubblici, nel patologico esorbitante costo per la collettività di ogni attività fatta nel suo interesse e non è un fenomeno naturale che i reati connessi a queste attività illecite siano puniti con pene irrisorie rispetto ad altri reati di impatto sociale ed economico di gran lunga inferiori e allarmanti.
Non è un fenomeno naturale la riduzione ai minimi termini del peso dello Stato, in QUESTO Stato, dove la sicurezza di luoghi pubblici quali tribunali o aeroporti o stazioni viene affidata a personale privato efficente e ben retribuito (a spese delle strutture pubbliche), mentre le scuole sono terra di nessuno, dove chiunque è in grado di aggredire verbalmente e fisicamente il personale docente e non docente, provocando un gravissimo, quasi irreparabile danno all’autorità stessa e al futuro degli studenti che vengono, senza loro colpa, privati di capacità di decidere, discernere, assumersi responsabilità, affrontare la vita e infine, diventare adulti responsabili e non merce di scambio e semplici consumatori, ridotti a transito di cibo e nulla più in questa vita,
Si smetta, dunque, di chiamare naturale e inevitabile, ciò che è del tutto opera dell’uomo, consapevole negli intenti e nelle sue dissimulazioni e non ne si faccia più passare una, non lo si tolleri oltre. Se non si comincia dalle parole, dal loro significato, non si arriverà a mettere un mattone sopra l’altro e non solo metaforicamente.

Cesare Stradaioli

 

 

IL LIBRO DEL MESE DI MAGGIO – Consigliato dagli Amici di Filippo

Detto subito: per chi scrive, Peter Handke è, da almeno venticinque anni, il personale candidato al Nobel per la Letteratura. Il volume suggerito, raramente un titolo è stato così appropriato, copre un arco di oltre cinquant’anni di scrittura da parte dell’Autore austriaco, suddiviso in due parti: la prima contiene una raccolta di scritti la cui datazione può essere solo intuita da nomi, argomenti, riferimenti storici o letterari -ma è sicuramente databile al di qua degli ultimi venti anni; la seconda torna indietro nel tempo e porta i giorni e le opere di Handke quasi ai suoi esordi, con una collezione di recensioni letterarie nella rubrica “L’angolo dei libri” per Radio Steiermark, dal 1964 al 1966.
Chi ami, o almeno conosca Peter Handke, troverà subito, fin dalle prime righe, i tratti più salienti della sua scrittura e del suo pensiero. Lievità e profondità allo stesso tempo, ossia, la capacità di trattare di fatti e persone, mai presi in sé ma costantemente inseriti in un discorso sociale sempre presente nelle sue opere, se pure l’uomo sia da sempre schivo, ritroso a mostrarsi e per questo dando l’idea – non corretta – di un intimista nel senso più retrivo del termine. La lievità di cui sopra può ben essere resa in una scrittura a volo d’uccello, in apparenza priva di una destinazione consapevole, nella realtà capace di indirizzare con precisione il pensiero non solo dell’Autore ma anche di chi se ne accosti.
Handke ha conservato nei decenni questa caratteristica di scrivere con apparente, diremmo così, noncuranza, come fossero riflessioni intime o discorsi di poco conto fatti in un vagone ferroviario o, al più, parlando da soli: per contro, oltre le singole parole, sistematicamente al termine dell’espressione di un concetto, di un gdiudizio, anche di una singola frase, si comprende subito lo spessore di quello che l’Autore intende – condivisibile o meno: a dispetto della figura che Peter Handke ama dare si sé, non senza un certo autocompiacimento, la sua penna è puntuta, diretta, priva di mediazioni quando vuole esserlo e lo è di frequente.
Presta particolare attenzione, da sempre, sia nella saggistica sia nella narrativa, all’osservazione delle coppie, più spesso composte da due singole solitudini, come la solitudine è una delle cifre – la più netta e costante, comunque – della sua prosa: che si tratti di uomini e donne in fuga reciproca oppure all’affannata ricerca dell’altro/a, oppure il minuzioso osservare le vocali e le consonanti dello scambio epistolare fra Stefan Zweig e Romain Rolland, celando in ciò la contrapposizione fra pensieri di pace e pensieri di guerra, scritti più di cento anni or sono e ancora tremendamente attuali, il singolo, solitario Handke scrive quasi sempre di dualismi, concreti o figurati. Da sempre riluttante a spendersi in pubblico, pare più a proprio agio nello scrivere delle altrui opere e prose, piuttosto che delle proprie e tuttavia lo scopriamo acuminato, severo nella forma della pacatezza – la Bibbia esorta a guardarsi dall’ira del mansueto – a difendere non tanto e non solo se stesso e le proprie opinioni (in punto dello scandalo suscitato dalle sue note prese di posizione sulla guerra in Jugoslavia che gli hanno inimicato parte dell’intellighenzia continentale) di cittadino del mondo sì, ma genuinamente mitteleuropeo, carattere rappresentato dal suo multilinguismo, quanto l’onestà intellettuale come punto di riferimento non negoziabile
Perfino più interessante è scoprire il giovane Peter Handke sollecito e quasi assertivo critico letterario, nella seconda parte del volume, quasi marchiata a fuoco dal formidabile incipit di un suo intervento: “Scrivere può essere un tentativo di conquistare il mondo“: se ne sono sentite e lette di giovanili dichiarazioni di intenti, ma questa si pone un gradino al di sopra di quasi tutte. Si scopre, fra le righe e le volute deviazioni, un Handke quasi irruento, che all’interno di critiche pacatamente sferzanti non fa sconti a nessuno, dall’alto dell’impudenza di un poco più che ventenne che, anche quando esprime un giudizio negativo – stroncature, le chiamaremmo oggi e non sono poche in questa rassegna – lo fa sempre manifestando curiosità, leggerezza e quasi dispiacere per il singolo autore di cui non dice bene per niente, dando così l’idea di giudicare non per separarsi (in meglio, in superiorità) da chi non si apprezza, quanto piuttosto per capire, condividere e cercare di interpretare, possibilmente conquistando il mondo di cui sopra e i lettori: che, da sempre, Peter Handke narratore e osservatore considera proprio complici.

Cesare Stradaioli

Peter Handke – I GIORNI E LE OPERE – Guanda – pagg. 262, €19

 

CONTRO IL 5 X MILLE

I messaggi sono chiari, affascinanti, tecnicamente ben fatti niente da dire: mediante una sapiente inoculazione di omeopatiche dosi di senso di colpa, inducono alla riflessione, alla collaborazione e, infine, al contributo. La pubblicità funziona quasi sempre – un giorno, qualcuno di più noto e autorevole, finalmente scriverà le dovute parole su quello che personalmente considero un cancro della nostra società: la pubblicità, che tutto avvelena, tutto falsifica, tutto distorce – e in questi casi specifici, alla meraviglia direi. Alternativamente, il volto è noto oppure anonimo; è familiare perché appartiene a uomini e donne dello spettacolo o della cultura, ma lo è anche perché viene prestato da persone qualsiasi, che potrebbero essere i nostri vicini di casa, o amici o parenti. Lo stesso valga per le voci. Una sapiente musica, generalmente puttana, completa il tutto.
I messaggi pubblicitari sono ordinariamente menzogneri e quelli sulle donazioni volontarie del 5 x mille non sfuggono a questa aurea regola: donare una sia pur piccola parte della nostra dichiarazione dei redditi non è vero che non costa niente. Costa a tutti noi, alla collettività, sulla base di due ragionamenti, uno strettamente matematico e uno più squisitamente politico.

Dal punto di vista matematico, il ragionamento è piuttosto semplice: se tolgo una cifra da quanto devo in ragione della mia contribuzione, lo Stato non disporrà di quella cifra, per quanto esigua possa essere e questa specie di storno, questa partita di giro, certamente non finisce nel nulla (o, almeno, lo si spera, dato che sotto questo aspetto,nel nostro Paese anche gli asini volano), dato che in qualche modo viene utilizzata; solo che, nella maggior parte dei casi, entra a fare parte del bilancio di strutture private, che siano ospedaliere, scolastiche, di assistenza, quello che volete. Nel complesso del patrimonio che ordinariamente, in una forma statuale viene percepito e speso con determinate finalità, i denari del 5 x mille oltre a sfuggire alla collettività – che è il secondo motivo, di cui fra poco – non compenseranno la mancata spesa pubblica per ospedali, scuole, eccetera e questo è inevitabile, in quanto la moltiplicazione delle strutture, l’allungamento della filiera comporta spese anche solo per la gestione di questa struttura, per non parlare del fatto che, nei casi in cui si parla di società per azioni, ci dovrà pure essere un dividendo per gli azionisti.

Sotto il profilo politico, meno gretto e più nobile, poiché concerne non tanto e non solo il vile denaro, quanto piuttosto l’essenza stessa di uno Stato, il discorso è un po’ più complesso. Deviare delle somme, sottrarle – perché è di una sottrazione che si tratta, è inutile girarci intorno, le parole esistono e vanno usate – al bilancio statale, equivale a ridurre il peso della società civile che vive e giustifica la propria esistenza proprio in quanto fa riferimento diretto a un’entità statuale; ogni soldo che finisce in una struttura privata in luogo della sua destinazione naturale in quanto contributo fiscale, vale a dire lo Stato, cioè noi cittadini, è un tassello di Stato che viene portato via, eroso, eliminato e, infine, consegnato alla libertà di impresa la quale, quando non è mediamente predatoria per sua stessa natura, inevitabilmente secondo le sue regole, deve necessariamente anteporre l’interesse privato a quello pubblico, che è esattamente il contrario di quello che fa, per altrettali regole, uno Stato.

Il nobile intento di chi viene indotto a contribuire a questa o quella iniziativa privata, prendendo dal versamento tributario, finisce col contribuire alla riduzione del peso dello Stato, alla perdita di quel già poco potere decisionale che un cittadino ha rispetto alla politica del suo Paese, disperdendo in mille rivoli le risorse e, cosa più importante, il loro utilizzo. Il messaggio ingannevole è che donando il 5 x mille si aiuta chi ne ha bisogno; incidentalmente, lo si aiuta, ma in misura ridotta, poiché parte del donato finisce in interventi ‘mirati’ (se la gestione dell’energia elettrica non fosse stata nazionalizzata nel 1962 con l’ENEL, per chissà quanti decenni ancora svariate zone del nostro Paese sarebbero rimaste economicamente e culturalmente indietro, in quanto investimenti poco remunerativi per un’azienda privata che, prima di tutto, deve rispondere agli azionisti) e soprattutto creatori di profitto, concetto che è per sua natura estraneo allo Stato.
Per non parlare del fatto tutto quanto viene distolto dal versamento tributario equivale a ridurre la possibilità da parte dello Stato di intervenire proprio in quei settori della società, a cui tutti noi apparteniamo, che si vorrebbero aiutare con la donazione volontaria. Si mortifica il concetto di società, per privilegiare l’assistenzialismo diffuso, incontrollato e sostanzialmente non uguale per tutti, perché gli investimenti nell’interesse pubblico raramente producono profitti, a detrimento dell’intervento (teoricamente: poi, sta alla coscienza degli eletti, posti a gestire la cosa pubblica, che ciò avvenga e come avvenga) pubblico.
Chi ne ha bisogno – il singolo cittadino, il malato, il disoccupato, la scuola, la struttura sanitaria – lo si aiuta pagando le tasse dovute, possibilmente facendole pagare a tutti o, quanto meno, al maggior numero di contribuenti possibile (sarebbe QUESTA la vera riduzione del carico fiscale!), non affamando lo Stato, togliendogli risorse, capacità decisionale e di intervento, sottraendogli disponibilità e autorevolezza, disperdendo il tutto in un nefasto universo incontrollato di attività non poche volte opache e che, in definitiva, riducono alla solitudine il singolo cittadino che rischia di un avere più un punto di riferimento che abbia le sembianze concrete e non astratte di un consorzio civile.
Volete contribuire seriamente? Volete davvero sostenere il volontariato, che è una preziosissima risorsa del nostro Paese, risorsa non di rado negletta in nazioni asseritamente – e assertivamente definite – più civili e avanzate della nostra? Fate come il sottoscritto: PRIMA versate interamente il contributo di civiltà chiamato tasse e POI donate qualcosa a chi vi pare; personalmente io dono mensilmente una cifra (niente di che) a Emergency, ma ci sono mille altri modi di contribuire a un maggiore benessere per chi non ha quello che abbiamo noi – c’è anche il rischio di tranquillizzare quella vocina dentro che ogni tanto si fa sentire, il che non è poi così male.

Cesare Stradaioli

 

 

E SI COMPORTASSERO DA UOMINI!

Ci sarebbe di che rimanere attoniti, a fronte del comportamento dei vertici del Partito Democratico, all’indomani delle elezioni del 4 marzo. Bisogna essere chiari: qui non si tratta di condividere o meno un orientamento politico – anche perché, di orientamento politico non se ne intravvede neanche un abbozzo.
Il fatto è che ci sarebbe da rimanere attoniti, ma nella realtà non ve n’è motivo: quanto accade all’interno del PD, ancora saldamente controllato da Matteo Renzi, malgrado la pagliacciata delle dimissioni dopo la sconfitta elettorale, è esattamente quello che c’è da aspettarsi da un numero indefinito di rappresentanti, cosiddetti ‘fedelissimi’ dell’ex segretario, per come hanno agito negli ultimi cinque anni. Di cosa dovremmo stupirci? Che sono intransigenti, scarsamente inclini al dialogo, superficiali, ignoranti, sciocchi e, nella sostanza, una banda di dilettanti allo sbaraglio (del Paese, non loro)? Ma è esattamente quello che sono sempre stati.
Un ceto politico appena decente, ove ritenesse non opportuno partecipare a un governo con il M5S, sia pure dall’esterno, lo direbbe a chiare lettere, motivando e argomentando in maniera compiuta: poi, si può essere o meno d’accordo, ma se non altro saremmo in presenza di un’attività politica. Siccome il ceto politico renziano decente non è, ecco le dichiarazioni, ecco i musi lunghi, ecco i veti totali e senza remissione. Manca, come sempre, come di prammatica, un minimo di autocritica: d’altra parte, si fa autocritica tutte le volte in cui si ritiene di avere sbagliato e, parafrasando don Abbondio, uno il senso critico non se lo può dare, se non ce l’ha.
Dato che, unitamente alle altre gravi carenze, il suddetto gruppo (suona meglio di ‘ceto’, che rappresenta un qualcosa un po’ più superiore) politico manca anche della capacità di ascoltare – e questa sì, che uno se la può dare pur non avendone in partenza: basta studiare, studiare e poi studiare e poi bisogna confrontarsi, confrontarsi e confrontarsi, ovviamente con i punti di vista che non si condividono – ecco che le voci dell’elettorato, non solo quello che ancora vota PD ma anche quello che ha votato altrove o non ha votato per protesta, non giungono ai loro orecchi; oppure, non sarebbe da escludere, giungeranno anche, ma loro non sanno cosa farsene ovvero non vogliono.
In tutti i casi, lo spettacolo è vergognoso: tanto sarebbe valso, come è stato detto, che Renzi avesse evitato di dare le dimissoni e, mantenendo anche all’esterno quel potere che internamente ancora possiede, dettasse in prima persona la linea politica della presa di distanza dal M5S; sarebbe anche più onesto, ma l’aggettivo non appare merce di frequente circolazione dalle parti di coloro che hanno spacciato per trionfo politico il 40% delle europee del 2014, un esito elettorale dopato come un ciclista bolso. A tale proposito bisognerebbe anche puntare il dito contro coloro, gli elettori fino all’altroieri, anche quelli in buona fede che sono la maggioranza e, nondimeno non sono tanto meno responsabili, che in questa vera e propria bufala delle europee ci sono cascati con tutt’e due le scarpe, la giacca, il cappotto, i pantaloni e il cappello.
Servirebbe un’illuminazione divina o qualcosa di simile, che portasse a un congresso e alla segreteria del Partito Democratico una figura capace, responsabile, di esperienza politica e di larghe vedute, che provasse un dialogo con il M5S; detto e ripetuto un milione di volte, se sarà necessario lo si ripeterà un altro milione, per chi abbia a cuore una politica di sinistra e la sua stessa sopravvivenza in questa società, il valore aggiunto di questo ex movimento non può essere certamente quasi nessuno dei suoi rappresentanti, quanto il gran numero di elettori di sinistra che l’hanno votato per la semplice ragione che non si sono più sentiti rappresentati da nessun altro. Il dialogo con questo ex movimento, il tentativo di un appoggio anche esterno (non provò a farlo anche il PCI del compromesso storico con la Democrazia Cristiana? Di Maio non è Moro, ma se è per questo, si fatica anche a vedere un Berlinguer nella attuale sinistra italiana), metterebbe in mora il M5S, lo presserebbe a muoversi, a decidere, ad acquisire esperienza di governo e non solo di protesta. Il risultato – certo non da aspettarselo per lunedì prossimo: ci vuole pazienza e lungimiranza – sarebbe o una virata a sinistra del M5S col quale poter stringere alleanze anche con compartecipazione governativa, ovvero un suo declino e in questo caso ecco che si metterebbe in moto un travaso di voti al contrario. Ma per fare questo, è necessario farsene una ragione, è indispensabile carattere e forza di volontà, sostenuti da coraggio e capacità di tenere ferma una decisione costruttiva. Insomma, comportarsi da uomini.
E invece siamo, pare chiaro come il sole, in presenza di un atteggiamento dirigenziale del PD che presenta forti tratti di arroganza, mascherata da inettitudine politica, rivestita di infantilità tipica di un ragazzino che, non essendo stato scelto dal prete per giocare nella squadra della parrocchia, per ritorsione si porta via il pallone. Con la non trascurabile differenza che il pallone, i suddetti vertici, se lo sono perso da tempo. Qualcuno dovrebbe dirglielo.

Cesare Stradaioli