NON CHIAMATELA FOLLIA

Vorrei rivolgere un appello a tutti i direttori di testate, cartacee, on line, audio e video: non scrivete più, quando toccherà a un vostro inviato parlare dell’ennesima donna uccisa da un uomo (ex o attuale compagno) oppure deciderete di andare in prima pagina voi stessi con un editoriale, che si è trattato di un gesto di follia.

Su Repubblica di oggi, in un servizio dove per l’appunto si narra la terribile vicenda di una ragazza assassinata dal proprio fidanzato – due vite rovinate, il che rende doppia la ferita alla società: il diritto penale, per la miseria, è diritto pubblico, non privato! – il cronista prova a dare una spiegazione a quanto è accaduto e dopo avere velocemente menzionato motivi più o meno chiari di ancora familiare o di gelosia, scrive che sarebbe più opportuno parlare di follia.

Non lo fate più, ve ne prego. Perché, al di là di singoli episodi di veri e propri disturbi mentali, nella stragrande maggioranza dei casi, soprattutto quando l’assassino è (o è stato) marito o fidanzato, purtroppo si tratta di motivazioni solide, talvolta rivendicate e – duole dirlo, ma nel nostro Paese il folklore non di rado rapidamente passa dalla farsa alla tragedia e ne cavano pure delle messe in scena teatrali e cinematografiche – consolidate nel tessuto sociale. Attenzione a non confondere il movente con la modalità del gesto; i manuali di criminologia sono concordi da decenni nel dare un peso, se vogliamo relativo, al comportamento omicida dalla terza coltellata in poi, quelle inferte nella foga. Per quanto possa destare ribrezzo (lo scempio di un corpo, quand’anche fosse di un animale, non può lasciare indifferenti), se è la prima coltellata o la prima bastonata o la prima pistolettata a uccidere, quanto più numerose sono le seguenti, tanto meno il soggetto ne ha piena coscienza, perché lo stato di eccitazione che prende determinate persone nell’atto di compiere un gesto cruento trascende in grande parte la concreta volontà di fare del male (cosa materialmente impossibile, se il soggetto è già morto, a seguito della prima lesione). Per dire, è correttamente ritenuto estremamente più grave (sia dalla scienza sia dalla giurisprudenza in punto di pena da irrogare) un solo, singolo gesto consistente nel gettare acido sul viso della vittima, gesto espressamente e inequivocabilmente teso allo sfregio, alla sofferenza, alla permanenza della lesione e, magari anche alla morte, di quanto non so siano, per l’appunto, la terza, la quarta, la ennesima coltellata e così via.

Ma, come detto, un conto sono le modalità: altro è il movente. E in casi quali quello della disgraziata ragazza rapita e uccisa dal cosiddetto ‘fidanzatino’, minorenne come lei (rimane da stabilire se, eventualmente, con l’aiuto del di lui padre), nell’orrendo caleidoscopio di ragioni per le quali un uomo decide di togliere la vita a una donna, troviamo sempre la gelosia, il rifiuto di essere lasciato, il considerare inconcepibile che lei possa autodeterminare la propria vita, la sostanziale incapacità di accettare qualsiasi cosa che vada contro la propria volontà, più spesso di dominio e di prepotenza.

Questa non è follia. Questo è, molto semplicemente, il risultato di trenta anni di bombardamento mediatico, costituito da spettacoli e dibattiti televisivi, pubblicità, video musicali, manga paranazisti, un orribile minestrone di idiozia, sessismo, superomismo straccione, odioso strapotere pubblicitario, arretratezza culturale, pelosa rivendicazione di valori di un tempo (quando i mulini erano bianchi, scriveva Giorgio Bocca, i padri padroni contadini picchiavano la moglie, violentavano le figlie, massacravano di botte figli maschi e animali e si trucidavano tra fratelli per quattro stracci di merda ereditati dal padre, altro fenomeno di disumanità, che a loro solo quello aveva insegnato, mentre l’oscurantismo veniva garantito dalla Chiesa) e tutto un insieme di comportamenti, modelli, imposizioni che hanno perpetuato nei decenni, a dispetto delle conquiste sociali faticosamente conseguite dalle donne, l’idea che dietro il paravento (più spesso un fondale, come nei western all’italiana: dietro la facciata, niente) di un amore vero o presunto o di svariati suoi succedanei, possa giustificarsi qualsiasi gesto, qualsiasi prepotenza, ogni tipo di prevaricazione.

Questi uomini, dai minorenni al quarantenni, per tutta la loro vita, nella NOSTRA società, non su Plutone, hanno assistito a migliaia di ore di schifosa televisione, durante le quali si vedevano politici od opinionisti o emeriti fancazzisti sputacchiarsi addosso, offendersi, darsi sulla voce, urlare il loro vuoto interiore, a centinaia di video criminali in cui le donne, quando va bene fanno tappezzeria se non di peggio, a innumerevoli e osceni spot pubblicitari; insomma, hanno visto, ingoiato e introiettato i comportamenti di un enne numero di puttane di qualsiasi sesso – detto col massimo rispetto per quelle donne che per necessità o per disperazione battono il marciapiede, non fosse altro che per fare una cosa del genere ci vuole coraggio – che per denaro o per semplice ambizione ad apparire, hanno portato indietro di quarant’anni la nostra società civile. 

1981: viene abrogato il delitto d’onore; è da rivendicarlo o è da vergognarsi? Per dirla con Luigi Pintor, quando nel 2017 voi leggete di un ragazzo o di un uomo scolarizzato, nato e cresciuto in una società sufficientemente civile e aperta, che dice di avere tolto la vita alla compagna perché era ‘troppo libera’ e in questo percepite gli echi di medesime rivendicazioni di uomini che per decenni e fino appunto al 1981 hanno goduto di attenuanti nell’avere ucciso la moglie fedifraga (ma, almeno, avevano la giustificazione di essere uomini del loro tempo, nati settanta, ottanta, cento anni prima del povero disgraziato di ragazzo oggi sulle cronache nere), come vi sentite?

Vi sentite bene?  Vi sentite male? Vi sentite male: e parlare di follia è una scappatoia fra le più comode e ottiene un duplice risultato. Da un lato, emargina il capro, unico colpevole del fatto, mela marcia in un cesto di splendide e intonse pink ladies e dall’altro consente di continuare a fare in modo che diecimila, trentamila – che ne so? – balordi, bastardi, infami, zoccole (quelle vere: quelle che non lo fanno per bisogno) ignoranti, pagliacci, teste di cazzo, corrotti, luridi figuri che impregnano e ammorbano i mezzi di comunicazione, continuino a percepire prebende e a tirare ancora un poco più il nostro Paese, indietro verso il Medio Evo.

Per favore, non parlate più di follia. E’ un pessimo servizio alla verità e alla società. 

Cesare Stradaioli

COSE DA DIRE

Laura Boldrini è una figura di spicco nella politica italiana e non solo e non tanto per il fatto di ricoprire la terza carica dello Stato – come è noto, in caso di contemporaneo impedimento di Mattarella e del Presidente del Senato Piero Grasso, Boldrini assumerebbe di fatto la carica di Presidente della Repubblica – ma anche per la notorietà di cui godeva già in precedenza presso gli ambienti internazionali, in ragione del fatto di avere ricoperto importanti cariche all’interno dell’ONU, particolarmente sui rifugiati; per non parlare del fatto di essere, se pure non la prima nella storia repubblicana, una donna a ricoprire un incarico così prestigioso a livello istituzionale.

Fa, pertanto, specie, come in più di un’occasione, si sia dimostrata non esattamente all’altezza del proprio ruolo e dell’importanza che necessarialente riveste la sua carica. I battibecchi e le frizioni all’interno della Camera dei deputati, specie con alcuni rappresentanti del M5S meritano poca attenzione: chiunque abbia fatto parte in vita propria di un’assise – politica, amministrativa, giudiziaria – o anche abbia partecipato a un collegio docenti o a una qualche assemblea di condominio, sa benissimo come dissapori e contrasti facciano parte del tutto e, in certa misura, siano pure necessari per una corretta dialettica, in particolar modo se compito di questa o quella riunione è prendere decisioni importanti.

Ebbene, la risposta data a coloro i quali – Giorgia Meloni e Salvini – le hanno mosso critiche per non avere stigmatizzato gli episodi di Rimini che avrebbero avuto alcuni cittadini africani come probabili autori di gravissimi reati (stupro e violenti pestaggi), è stata insufficiente, indolente, rancorosa. Tratti – bisogna dirlo – storicamente tipici di una tradizione di sinistra, a cui Boldrini appartiene, specie quando le critiche appaiono meritate.

Cioè a dire: vero, verissimo, che Boldrini non abbia detto né espresso, in nessuno modo, alcunché rispetto a quei fatti; e la risposta, “Non si può commentare ogni fatto di questo tipo“, è brutta, non adatta, vagamente odiosetta. E’ altrettanto comprensibile quanto sia difficile seguire giorno per giorno la cronaca nazionale, specie per chi ha l’agenda quotidianamente piena: esistono, però, gli uffici stampa, i portavoce, esistono cerchie di collaboratori, la cui scelta misura la capacità di una personalità politica.

Cosa avrebbe dovuto rispondere Boldrini? Avrebbe dovuto ammettere la propria mancanza, avrebbe dovuto per questo chiedere scusa alle vittime e fare ammenda, riconoscendo la validità delle osservazioni fatte, ringraziando pure chi gliele aveva rivolte. Avrebbe così colto l’occasione per scusarsi anche per non avere commentato i fatti di qualche giorno addietro, quando due ragazzi ITALIANI, hanno preso a calci una cittadina nigeriana incinta in un autobus, chiamandola ‘negra di merda’ e minacciando di farla abortire. Avrebbe dovuto, infine, esprimere l’intenzione della Presidenza della Camera di istituire un osservatorio permanente su fatti di violenza sessuale e di razzismo, con lo specifico compito di letteralmente bombardare il web di interventi, ogni qual volta si registrasse nel nostro Paese un fatto del genere. In altri termini, fare sentire concretamente la voce, la solidarietà, l’impegno dello Stato, per bocca o penna di una rappresentante apicale.

Sarebbero stati conseguiti, a parere di chi scrive, due risultati di notevole importanza – a parte l’evitare di scendere a battibeccare con simili personaggi: non si esce mai puliti, a giocare nel fango; prima di tutto, avrebbe fatto sentire la propria voce in senso ‘positivo’ e non ‘negativo’, o peggio, negatorio (a dire che non è sempre possibile fare tutto, per quanto sia umanamente vero, si rischia di sentirsi invitare a dare le dimissioni), ed è pur sempre la voce della Presidente della Camera; in secondo luogo, come dicono i giornalisti americani, avrebbe lasciato in mano a Meloni, Salvini, Gasparri e tutta la fauna del genere, un’enorme pistola scarica. Perché: cosa si può rispondere a qualcuno che ammette i propri errori e manifesta gratitudine e senso di iniziativa?

Per contro, a cosa si possa rispondere a chi, anche un tantino infastidita, come Boldrini, farfuglia scuse da quattro soldi, l’unico limite è la fantasia. E la destra razzista e xenofoba italiana, di fantasia ne ha da vendere. Lo vedremo a febbraio 2018.

Cesare Stradaioli

BISOGNA CAPIRSI

Se non ci si capisce, se non si usano termini omogenei, il confronto diventa impossibile e si trasforma in pretesto per litigare.

Mario Calabresi interviene oggi con tutto il suo peso, in prima pagina del quotidiano che dirige e, tanto per mantenere alto il tono che ‘Repubblica’ tiene da tempo sul tema, parla di ‘mistificazioni’, in punto di discussione sulla questione dello ius soli. Insomma, le acque sono intorbidite da un fraintendimento – voluto o meno, non lo si comprende esplicitamente; sotto traccia, è voluto alla grande. Non è vero, sostiene il direttore, che la legge che sta vivendo una vita al momento alquanto tormentata trasformi in cittadino italiano chiunque sbarchi sul nostro territorio; ed è men che meno vero che siano alle viste sbarchi di donne incinte tese a far nascere il proprio figlio in Italia, facendolo così automaticamente diventare cittadino, dal momento che, in realtà, secondo questo disegno di legge si diventa cittadini solo nascendo in Italia da genitori che da 5 anni regolarmente ivi risiedono, ovvero giungendo in Italia entro il dodicesimo anno ma avendo completato un intero ciclo di studi.

Ora, nel nobile intento di parlare la stessa lingua, di avere un linguaggio comune e di utilizzare termini condivisi, presupposti indispensabili per un corretto scambio di vedute e di un concreto e consapevole formarsi una qualsiasi opinione, dato che lo ius soli è un principio secondo il quale si acquisisce la cittadinanza di un certo Paese per il solo fatto giuridico di esservi venuti alla luce, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori, ciò di cui sta parlando Calabresi, semplicemente NON è ius soli, ma è qualcosa d’altro.

Il che, non solo gli meriterebbe – oltre a lui, anche a numerosi rappresentanti del Pd – che si rimandasse al mittente la sistematica e strumentale offesa di equiparare a Salvini chiunque sia critico nei confronti della cittadinanza ad minchiam, come l’avrebbe definita il mitico professor Scoglio ma (cosa molto più importante di cosa pensi (malissimo) il direttore di ‘Repubblica’), costringe a ricordare agli smemorati e agli ignoranti che nel Paese simbolo per antonomasia dello ius soli, gli USA, è vigente da sempre una rigidissima legislazione in merito all’immigrazione, ciò che rende improponibile lo sbarco di un numero indefinito di prossime puerpere. Complice anche il fatto che negli USA non si arriva col barcone.

Molti anni or sono, l’Irlanda adottò lo ius soli: quello vero, non il fraintendimento di Calabresi. Alla cinquantamillesima donna incinta – povere disgraziate in fuga dalla fame e dalla guerra, ma anche semplici opportuniste: le cose vanno dette, una buona volta, anche se sono sgradevoli e se Salvini dice che il sole nasce a est, non possiamo metterci a dire che nasce a ovest, solo perché non ci garba concordare con lui – che si presentava per far valere al proprio pargolo quella splendida legge, i governanti locali pensarono di avere sbagliato qualcosa e l’abrogarono seduta stante. Al momento, ritennero, si trattava di qualcosa di economicamente e socialmente insostenibile, pur con tutta la buona volontà che si trova in un Paese profondamente cattolico. Perché, come diceva Platone, c’è quello che vorremmo che ci fosse e poi c’è quello che c’è: e questo andrebbe ricordato a coloro i quali (il Pd ne è ricchissimo) si permettono di dare, un giorno sì e un giorno anche, lezioni di pragmatismo e di realismo, in punto di alleanze indecenti con personaggi che in un Paese civile sarebbero impresentabili – se non in carcere.

Cesare Stradaioli

AIUTARLI A CASA LORO: E, INVECE, DOVE?

E’ perfino ovvio, che sia necessario e indispensabile aiutarli a casa loro. Ed è del tutto fuorviante, oltre che strumentale, liquidare la battuta solo perché l’ha detta Matteo Renzi, con il quale – càpita – si può anche essere d’accordo, rifuggendo dal benaltrismo, storica malattia endemica degli italiani, contro la quale si è ancora ben lontani dall’aver trovato un vaccino.

E’ argomento privo di pregio e intellettualmente offensivo sostenere, a confutazione (che non arriva mai: si minaccia l’argomento a contrario, ma poi lo si lascia cadere; basta la faziosità) che una frase simile l’avesse già detta Salvini. Se Totò Riina dicesse che molestare i bambini è una cosa orrenda, non è che non la si può condividere, solo perché lui i bambini ordinava di farli sciogliere nell’acido. Il fatto è che Renzi si sta apprestando a vivere – e chi lo sa se nè è consapevole – la vicenda, tutta in discesa, di altri che prima di lui hanno urlato, aizzato, offeso, deriso, preteso il comando senza discussioni, emarginato i dissenzienti, mentito, gabbato, preso in giro gli italiani, diviso, per poi finire sulla strada, venissero dal balcone di Piazza Venezia, o dall’hotel Midas o ancora dalla presidenza di una prestigiosa squadra di calcio. Queste, però, al momento sono pinzillacchere, anche se desta amarezza e sconforto il vedere come siano particolarmente gli alleati o quasi ex, a sparare a zero, ben più forte e con molti meno motivi dei veri e storici oppositori della prima ora. Anche questa, come il benaltrismo, è una malattia grave e, al momento, incurabile, di questo sfortunato Paese.

Ma aiutarli a casa loro sì: e dove, altrimenti? E’ necessario, è indispensabile e, però, non è sufficiente.

Anche se dei dati di fatto è bene farne uso responsabile, in quanto tendono a dare dipendenza intellettiva, è bene prenderli ed esaminarli. A grandi linee, e senza pretendere di dare giudizi del tutto esatti e pienamente rispondenti alla realtà, stando ai rapporti dell’ONU e di alcune organizzazioni umanitarie, laiche o confessionali, in Africa la fame miete meno vittime di decenni or sono; è un dato di fatto. Qualche aiuto in più, qualche miglioramento nelle coltivazioni, un clima meno ostile, tutto può concorrere a fare sì che la fame tutt’ora esista e sia comunque una piaga intollerabile per ogni essere umano, e però che la sua incidenza sia percentualmente diminuita.

La prima e logica conseguenza, è che l’aspettativa di vita sale. Unita a una profilassi un po’ più attenta, la qualità della vita consente di resistere più a lungo a certe malattie, che pure sono una presenza altrettanto intollerabile della fame e, ulteriore conseguenza, più persone vivono più a lungo.

Si tratta di un processo autocatalitico: più a lungo vive una generazione, più individui raggiungono un’età scolastica, più studiano, più prendono coscienza e consapevolezza. Ne consegue che minore sarà la sopportazione di guerre per conto terzi, di dittature, di tortura, di fame e privazioni materiali e morali (perché una generazione si uccide anche privandola della scuola): d’altronde, per quale ragione un giovane sudanese dovrebbe tollerare più di suo padre, di essere incarcerato, ucciso, mandato a combattere una guerra non sua, di non avere un futuro?

E siamo al punto: aiutarli a casa loro è necessario per una indiscutibile ragione umana ed è indispensabile perché se è vero che ogni uomo ha diritto di muoversi per il mondo in cerca di un futuro meno miserabile, è altrettanto vero che ha lo stesso, speculare diritto di trovarlo a casa propria, il mondo meno miserabile, anche perché sono rari i migranti che, pur potendo farne a meno, avrebbero comunque lasciato la propria famiglia, la propria cultura e la propria terra di origine, mentre molti, non appena possono, ritornano.

Ma non basta: proprio in ragione del fatto che più una popolazione cresce, di età, di cultura, di consapevolezza, di forza interiore ed esteriore, meno tollera la propria situazione: pertanto, continuerà a emigrare e allora qualcuno potrebbe dire che aiutarli non solo non serve, ma addirittura peggiora la cosiddetta crisi dei migranti, mantenendo un asserito stato di assedio ai confini europei.

Detto, una volta per sempre, che le migrazioni sono parte integrante dell’umanità, che da sempre si sono verificate e sempre si verificheranno e che niente e nessuno le ha mai fermate in passato né potrà farlo in futuro, detto che noi occidentali dobbiamo farcene una ragione e cioè che il colonialismo non sarà colpa nostra che non l’abbiamo neppure vissuto, ma neanche colpa loro, di quei poveri disgraziati che arrivano in barcone con niente altro che un paio di mutande e una maglietta e che, però, tutt’ora l’Occidente deruba i popoli africani delle risorse naturali e arricchisce i dittatori per conto terzi, fornendo loro ogni tipo di arma per reprimere il proprio popolo; detto tutto ciò, aiutarli a casa loro, certo. Cominciamo a mettere in discussione il potere politico ed economico delle multinazionali dell’energia; rivediamo la catena produttiva industriale che mette l’Italia ai primi posti nella vendita di armi e mine antiuomo; accogliamo chi arriva e diamogli un futuro nella propria terra di origine – qualcuno preferirà rimanere in Europa e, d’altra parte, le migrazioni eccetera eccetera.

Per questo sbeffeggiano Renzi – che ha fatto il possibile, nella sua sperabilmente breve carriera politica per dipingersi addosso un bersaglio: perché chi ha un minimo di ingegno sa che l’aiuto sarebbe difficilissimo e allora è meglio fare casino a centrocampo, mettendo in pratica l’ennesima patologia italiota, sviare i discorsi, i progetti, le idee. Buttarla in caciara, insomma.

Cesare Stradaioli

COLPEVOLI E NON INNOCENTI

Ogni singola posizione giudiziaria degli ultimi assassini di donne sarà, com’è giusto che sia, di competenza della magistratura, inquirente e giudicante, con l’ovvia partecipazione necessaria delle rispettive difese.

Quello che attiene al profilo psichico e comportamentale degli assassini è affare degli studiosi in materia, e così pure un’analisi finalmente completa e corretta di cos’è diventata questa società: sarà bene ricordare che questi uomini non vengono dallo spazio profondo, sono nostri concittadini, persone che hanno fatto parte del consorzio civile in cui tutti noi viviamo.

Chi, come chi scrive, non ha competenze in materia psichiatrica, ne ha qualcuna di sociologia e ne ha molta proprio come cittadino – lascerei perdere quella giuridica: sono certo che gli imputati saranno giudicati con processi equi e rispettosi delle garanzie, vigileranno i loro difensori in proposito – può limitarsi a qualche considerazione.

Questi uomini sono, da bambini e poi da ragazzi, cresciuti in un mondo fatto di pubblicità in cui le ragazze sono disponibili al primo offerente, quando leccano un cono gelato sembra che stiano leccando qualcosa d’altro (e il messaggio pubblicitario è precisamente QUESTO che vuole: il gelato arriva di conserva), fanno le cretine decerebrate, incapaci di ragionare al di là di una borsa di Zara;  il percorso pre e post adolescenziale (posto che ne siano usciti) di questi ragazzi ora uomini è stato segnato da cartoni animati giapponesi che non esito a definire criminali, intrisi di superomismo e subordinazione femminile, il tutto nell’assoluta staticità di sguardi ed espressioni fra l’aggressivo e lo sgranato, videogiochi di una violenza inaudita e gratuita, direttamente proporzionata al disprezzo per la vita umana; è stato accompagnato da video musicali in cui neri deficienti e arroganti, che ogni tre parole si toccano il pacco ammiccando a una svariata serie di ragazze che fanno da tappezzeria, oppure latini deficienti e arroganti, che ogni tre parole si toccano il pacco ammiccando a una svariata serie di ragazze che fanno da tappezzeria, interpretano (il termine è forse esagerato, ma va bene così) brani musicali (?) i cui testi rimbalzano dall’idiozia più disperante a giudizi sul femminile che non avrebbero osato esprimere neanche i nostri bisnonni che consideravano le donne non adatte al voto o al ruolo di giudici o medici, mentre frequentavano abitualmente le case di tolleranza, fino a chiari e per nulla sottesi riferimenti all’uso della violenza, verbale e fisica; è stato ossessionato da un consumismo gretto e sfrenatamente scemo, confinato e imprigionato nello spazio che va dallo stomaco da riempire ai genitali da svuotare, senza passare neanche per sbaglio dalle parti del cervello; è stato, infine, segnato da programmi televisivi in cui persone adulte – è questa l’aggravante – liberamente sbraitavano, si davano sulla voce, si interrompevano, si offendevano, minacciavano di venire alle mani (e talvolta lo facevano), mischiavano ragioni, opinioni e comportamenti in un unico orribile minestrone di merda assortita. Tutto questo, pensato, scritto, prodotto e pubblicizzato da adulti, col preciso scopo di formare, manipolare, indirizzare, condizionare, incanalare una o più generazioni. Questo, in luogo del dialogo, dell’insegnamento e del reciproco apprendimento, della cura e della crescita.

Per non dilungarsi a parlare d’altro: noi, cittadini adulti di questa società, che se non abbiamo favorito tutto ciò, evidentemente – e senza scusanti di sorta – non abbiamo fatto abbastanza per evitarlo ai nostri figli, abbiamo il diritto di stupirci? Abbiamo il diritto di indignarci? Abbiamo diritto di mettere un confine fra noi e loro?

La risposta non può che essere: no, non l’abbiamo. Sarebbe perfino grottesco avanzare diritti, là dove non si sono esercitati precisi doveri.

Ci saranno processi, condanne, pene eseguite. Se non altro, rimane la speranza (che andrebbe corroborata e aiutata da investimenti di mezzi e uomini) che gli anni che questi cittadini italiani passeranno in carcere possano servire loro per un cambiamento, per un miglioramento, per fare in modo che il loro ritorno in società (a meno che, pure se condannati all’ergastolo, non meritino alcun beneficio, ma questo è un problema loro e di chi dovrà valutarne il comportamenti intramurario), li veda diversi da quando ne sono stati espulsi.

Verrebbe, però, da dire che ci dovrebbero essere altri processi, altri imputati e altre condanne: noi, la nostra società, chi permettiamo di andare al potere o lo eleggiamo ripetutamente per questo, chi occupa le nostre vite senza che noi si faccia adeguata resistenza e adeguata tutela ai più deboli ed esposti – i nostri figli – noi tutti dovremmo essere processati. Anche se, a ben vedere, in realtà parlare di processi sarebbe fuorviante: da avvocato difensore, ho a mente come in un processo l’esito non sia mai scontato, per quanto grave e indifendibile possa sembrare la posizione di chi è chiamato a rispondere di questo quella accusa e che, per sua natura e definizione, un processo può e deve ricomprendere, come possibile conclusione, l’assoluzione dell’imputato. Quello nel quale dovremmo trovarci sul banco degli imputati non sarebbe un processo, se mai un giudizio: perché non possiamo in alcun modo proclamarci innocenti.

In attesa di ciò, a ulteriore oltraggio, dovremo aspettarci e sopportare l’indignazione a mezzo stampa, pelosa e autoassolutoria.

Cesare Stradaioli

IL PD E LA PSICANALISI

All’indomani delle elezioni dl 2008, che seguivano allo sciagurato defenestramento (leggi: poltrona tolta da sotto il culo) di Prodi da parte di Veltroni, con conseguente trionfo berlusconiano culminato – ciliegina sulla torta – dalla scomparsa, dopo 60 anni di un partito comunista dal parlamento italiano, mi capitò di andarmene a piedi verso la Corte di Appello di Venezia e di vedermi venire incontro due signori, piuttosto corpulenti e dall’aria di chi si occupa di politica e di cultura. Mentre mi stavano oltrepassando, sentii chiaramente uno dei due dire all’altro: “Ti gà capìo, no xè questiòn de poìtica: xè questiòn de psicanàisi…”. Non credo ci sia bisogno, come non ce n’era allora, di traduzione.

Credo che oggi, 2017, il grosso problema della sinistra in genere e, più nello specifico, del Pd e di quanto di non-destra e non-centro vi sia rimasto, oltre che della stampa di riferimento (Repubblica, per non fare nomi) sia ancora ed esattamete quello: psicoanalisi.

Non trovo un modo adatto per spiegare l’allucinante, sconcertante coro di reazione alla sentenza di ieri che, nell’emettere una sentenza di condanna (a pene a volte superiori a quelle chieste dalla Procura) nei confronti di Carminati più altri, abbia escluso l’aggravante dell’associazione mafiosa. Ululati di giubilo da parte di imputati e difensori – il che è perfettamente comprensibile e legittimo – e coro unanime di delusione, da un lato e di rimprovero al M5S dall’altro (?) da parte di politici renziani e stampa idem – e questo è poco comprensibile e del tutto lunare.

Perché la stampa si preoccupa di questa sentenza? Perché il dito puntato contro il tribunale e, per motivi diversi, contro il principale partito di opposizione? Cosa c’è che non va in questa sentenza?

Tanto per essere chiari: tutti gli imputati, a cominciare da Massimo Carminati, sono cittadini in attesa di giudizio definitivo. In questo senso, sono ancora presunti innocenti, a fronte delle accuse di cui dovevano e dovranno rispondere – scontata l’impugnazione da parte dei difensori e, forse, anche l’appello da parte della Procura.

Detto ciò: IN PRIMO GRADO, un tribunale della Repubblica (non DI Repubblica), ha dichiarato gli imputati colpevoli di reati gravissimi: il che, anche se questi reati sono avvinti SOLO dall’associazione semplice e non già da quella di stampo mafioso, ha comportato severissime condanne.

Ma stiamo scherzando? Quand’è stata, in Italia, l’ultima condanna a 20, 19, 13, 11 anni e via discorrendo, per fatti di corruzione? In un paese dove i condannati in pena esecutiva per reati inerenti ai pubblici uffici rappresentano una percentuale ridicola dell’universo carcerario?

Se questa sentenza dovesse superare l’ultimo grado di giudizio, quello di legittimità in Cassazione, avremo un precedente semplicemente stupefacente. Un primo passo, dirà qualcuno: bene, il passo finale di una svolta di civiltà è pur sempre parte di un percorso iniziato da un PRIMO passo. E oggi, i renziani del Pd, quelli che hanno silurato la giunta di Ignazio Marino (la LORO giunta!) dopo una indecente campagna stampa di delegittimazione per una Panda in divieto di sosta e per un improvvido colloquio col papa, invece di fare una solenne autocritica e cominciare a sottoporre a seria revisione tutte le nomine fatte in 15 anni di governo della città da Rutelli e Veltroni (perché io non ci sto a scaricare tutto il letame della corruttela solo addosso ad Alemanno), si beccano con i transfughi e con il sindaco Raggi.

In altri tempi sarebbe stato opportuno parlare di miseria della politica – o politica della miseria. Di meschini rimpalli di responsabilità. Di gente con la faccia come il culo.

Oggi no. Oggi questi signori andrebbero sottoposti a un trattamento psicanalitico, per capire cosa vogliono, cosa pensano e cos’hanno in mente. Per poi procedere con cure appropriate – previo, va da sé, un benefico (per loro e per gli altri) allontanamento dalle cariche politiche e amministrative.

Cesare Stradaioli

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DIRITTI E DIRITTI

Il ministro per la Salute, Beatrice Lorenzin, intende portare in consiglio dei ministri un disegno di legge che imponga a tutti i genitori la vaccinazione dei propri figli, pena l’esclusione dall’iscrizione alla scuola dell’obbligo. Le si oppone, dall’interno della compagine governativa, la sua collega Valeria Fedeli, invocando l’intangibile diritto di chiunque di accedere alla scolarizzazione. Si tratta di una questione di rilievo ai massimi livelli, di gran lunga più importante rispetto a pressoché tutte quelle che negli ultimi anni hanno interessato – o avrebbero dovuto interessare – l’opinione pubblica e la classe dirigente nazionale, senza distinzione di orientamento politico. Le titolari dei dicasteri della Salute e dell’Istruzione hanno ragione entrambe, facendo in egual misura e pregio leva su ragionamenti e scopi di ordine superiore e tuttavia, essendo condivisibili gli argomenti contrapposti, uno dei due ha più ragione dell’altro: a mio giudizio, quello del ministro dell’Istruzione.

L’intento che subordina la frequentazione della scuola dell’obbligo alla vaccinazione è indubbiamente ispirato a principi fondamentali della nostra Repubblica. Al di là delle inesattezze e dei pressapochismi che connotano le ‘ragioni’ di coloro i quali sostengono la libertà di decisione in ordine alla vaccinazione (uso le virgolette in quanto tenacemente contrario alla tesi secondo la quale tutte le opinioni siano necessariamente titolari di eguale dignità; quelle degli antivaccinisti sono sprovviste di seri riscontri di carattere scientifico: pertanto non meritano altro che le virgolette), il problema di fondo è eminentemente sociale: la libertà di non vaccinare il proprio figlio, oltre a essere una scommessa con poco da vincere per chi la fa e tutto da perdere per il minore che la subisce, è un vero e proprio attacco alla socialità, al consorzio civile, alla comunità in cui si abita. Del tutto assimilabile a una eventuale ‘libertà’, rivendicata come diritto e, dunque, come legale, di non pagare le tasse o di infischiarsene di passare col rosso – che si va di fretta e, poi, che scocciatura dover dare il passo agli altri: dove sta scritto che sia un mio dovere? E non è il caso, in questa sede, di rimarcarne i caratteri antisociali, di un individualismo esasperato e intollerante, frutto di un uso strumentale e bastardo del concetto di libertà personale.

D’altronde, è difficile non concordare con la tesi opposta. Lo studio è – quello sì! – un diritto assoluto e non negoziabile. Con il che, nell’idea di evitare che uno o più individui non vaccinati (per decisione presa da altri) e, per questo, possibili portatori neppure tanto sani di malattie anche gravissime, si trovino nella condizione di contagiare altri sventurati come loro si dovrebbe, per forza di cose, escludere un certo numero di cittadini in età scolastica, dal diritto di ricevere una adeguata educazione – anche un solo escluso rappresenterebbe un vulnus, per una società che si proclami civile – e questo per responsabilità non ascrivibili a loro. Si giungerebbe, quindi, alla grottesca e terribile conseguenza per cui un bambino non solo rischia di ammalarsi seriamente e di propagare il contagio, ma anche di trovarsi privato di uno dei fondamentali diritti dell’infanzia e del cittadino: l’avere un futuro di cittadino istruito.

Cosa fare? Detto che le ragioni del ministro dell’Istruzione appaiono più socialmente forti e pressanti, ritengo che sia indispensabile agire sotto un doppio profilo.

Prima di tutto, sarà necessario predisporre un adeguato intervento di cura, da qui ai prossimi dieci anni: sarà inevitabile – lo è, forse, già adesso – una sensibile rivivescenza di malattie che la vaccinazione, se non debellate, le aveva certamente messe nell’angolo, e la società italiana dovrà farsi trovare pronta a interventi su larga scala, dato che mantenere l’accesso alla scuola dell’obbligo per tutti i minori, inevitabilmente porterà alle conseguenze appena menzionate. Sarà un lavoro duro, difficilissimo, senza quartiere contro le epidemie.

Contemporaneamente, bisognerà a tutti i costi evitare il muro contro muro nei confronti dei genitori che non vaccinano i figli. Si tratta di persone, interi nuclei familiari composti da cittadini impauriti, impoveriti nelle tasche e nello spirito, spesso privati di un dignitoso futuro di lavoro e di vecchiaia, incattiviti da una società predatoria e dai richiami di personaggi che definire ‘politici’ rappresenta un insulto alla nobile arte della politica; persone che, isolate dalla socialità (anch’esse, in fin dei conti, non per colpa loro), sono disposte ad ascoltare chi grida più forte, chi digrigna i denti, sbraita in televisione e storce i tratti del viso e che nel fare questo da’ loro l’idea di tutelarli, di difenderli mentre invece li sta solo peggiorando come persone, come genitori e come cittadini. Innalzare ulteriormente il già fin troppo alto livello di scontro mediatico, oltre ad andare incontro a un fallimento pressoché totale del tentativo di recuperarli alla ragione, rischia seriamente di farne dei martiri, con le conseguenze che conosciamo bene, come altrettanto ben conosciamo quanto gli integralismi – laici o religiosi, fa lo stesso – proprio dei martiri e degli oppressi si nutrano e diano fiato alle loro sconce grida.

Sarà indispensabile una seria, pacata, ragionevole, ma feroce e insistita campagna di informazione – verrebbe da dire controinformazione: saranno i sedimenti leninisti di chi scrive, ma accidenti, andrebbero ancora bene – che con argomenti compiuti quanto sistematici e instancabili prima o poi (ci vorranno anni: ci vogliono sempre anni, per riparare a un quarto d’ora di disastri) riportino con le buone maniere alla ragione persone che hanno sì, la responsabilità della vita e della salute dei propri figli, ma che debbono tornare a capire che hanno anche quella dei figli degli altri e di tutta la società in cui vivono e dalla quale si sentono (difficile dare loro torto) esclusi e maltrattati.

Parlare, dialogare, insistere, non dare tregua; e ancora spiegare, ragionare e ripetere e ripetere e ripetere – inseguire, insomma, come faceva Filippo Ottone.

Cesare Stradaioli

AL VOTO, AL VOTO!

L’ho già detto più volte: se fossi francese, voterei Macron. E glisso sul fastidio – cosa del tutto personale e, quindi, di scarso interesse – che provo al solo digitare sulla tastiera una frase del genere.

In due parole, concordo con l’appello di Yanis Varoufakis, col quale sono spesso mi trovo in assonanza di idee.

Però, ho una richiesta. A tutti coloro che non ritengono di considerare meritevoli di attenzioni e riflessioni le perplessità di chi si trova (o si troverebbe) di fronte all’alternativa fra un banchiere neoliberista e una razzista, e cioè come sempre più spesso accade ai cittadini messi di fronte al ‘non c’è alternativa’, alla fine delle scuole di partito e alla messa nell’angolo della politica, vale a dire dover scegliere fra il peggio e il meno peggio (e Macron è ovviamente meno peggio – ma mica poi di tanto – della Le Pen e ci voleva anche poco); insomma, a tutti coloro che votano o voterebbero Macron a cuor leggero e che considerano fuori dal tempo e fuori dal mondo chiunque altro si immagini un futuro migliore, a cominciare dal ceto politico, chiedo: per favore, non solo non chiedeteci di esserne anche contenti ma magari, per una questione di decenza non per altro, non manifestate troppa contentezza, domenica sera, quando Macron diventerà presidente.

Marine Le Pen è un pericolo, anche se a mio giudizio è un po’ un babau gonfiato dai media, ma Macron, per il semplice fatto di esserci come alternativa alla xenofobia, personifica – non per colpa sua, è ovvio: lui è un ometto di cartone messo lì dalla finanza europea – il definitivo scollamento fra quel che rimane della sinistra e una accettabile base elettorale.

C’è poco, pochissimo da gioirne.

Per cui, per cortesia: ridete poco. Se possibile, anche per niente, che sarebbe meglio, perché accettare di buon grado le disgrazie e farsene una ragione è segno di maturità, ma pretendere che le disgrazie debbano anche piacere, ecco, proprio no.

Cesare Stradaioli

PRIMARIE, TRISTI E SOLITARIE

Deve essere detto: nei confronti delle primarie all’italiana, cosa ben diversa da quelle che si tengono negli USA e che, mi risulta, siano state finora praticate solo dal Pd, nutro un determinato pre-giudizio. Con questo intendo un giudizio che precede la loro effettuazione: basato precisamente su un punto di vista aprioristicamente contrario a esse.

Mi rivolgo a un cittadino italiano qualsiasi, per porre le seguenti domande.

Qualcuno che legge queste righe sarà socio Coop: troverebbe logico, rappresentativo, anche vagamente proponibile al di là di una semplice boutade, che il presidente o l’amministratore delegato – coloro incaricati di decidere le strategie aziendali e quindi, in definitiva, la qualità e la convenienza (mi si perdoni lo slogan vagamente pubblicitario) della spesa quotidiana – fossero scelti dal voto conseguente a un afflusso di cittadini qualsiasi, aventi diritto al voto non già in quanto titolari di tessera societaria, bensì per il solo e semplice fatto di presentarsi alla cabina con un regolare documento che attesti l’identità e la cittadinanza italiana?

Qualcuno che legge queste righe avrà un contratto telefonico, dal quale dipende non solo la propria vita di tutti i giorni in quanto persona, ma magari anche l’efficacia della propria attività lavorativa: se all’assemblea annuale avessero accesso al voto, e quindi alla decisione di nominare un amministratore delegato, anche persone che nulla hanno a che vedere con quella compagnia telefonica, magari persone – chi potrebbe escluderlo in questo sbrindellato e disonesto Paese – inviate da una compagnia concorrente, con lo specifico compito di votare l’ingegner Tizio, mascalzone al soldo di questi mandanti, nell’idea di farlo eleggere al fine di guidare alla scarsa convenienza e redditività la compagnia della quale si tiene l’assemblea, non troverebbe questo qualcuno niente da ridire? Lo considererebbe giusto, regolare, rappresentativo e normale?

Mi rendo conto che queste domande possano sembrare provocatorie, ma d’altra parte il modo in cui si tengono le primarie del Pd si svolge esattamente in questo modo, senza neppure prendersi il disturbo di riservare la consultazione agli iscritti: con la sola significativa eccezione del fatto che per esercitare il voto è richiesto un modestissimo contributo. Viviamo, con grande fatica, in un Paese in cui politicamente conta ancora molto un ricchissimo signore che, all’alba della sua discesa in politica, acquistò – per poi toglierle dal mercato delle comunicazioni – tutte le foto che lo ritraevano da un lato del volto in cui, secondo i suoi consiglieri di immagine, non veniva bene e, nel fare questo, spese uno strafulmine di soldi; ora, qualcuno che ha smesso da tempo di credere che Babbo Natale sia Gesù Bambino da vecchio, troverebbe così fuori dal mondo se una cifra simile potesse essere stata spesa per influenzare niente di meno che la poltrona di segretario del Partito Democratico (che, ritengo, conti un po’ più di una serie di brutte foto)?

Le opinioni sono come la faccia – ognuno ha la propria: sta poi al singolo, decidere se mettercela o meno – ma sono anni che aspetto che qualcuno abbia la compiacenza di espormi almeno UN motivo valido che confuti il mio totale disprezzo per l’ennesima americanata, spazzatura di prima scelta, che noi italiani non ci facciamo mancare mai.

Cesare Stradaioli

PRESENTAZIONE

Il giorno 10 maggio 2017, alle ore 18 presso la libreria Feltrinelli di Padova in via San Francesco 7, Alfredo Auciello presenterà il romanzo di Cesare Stradaioli, intitolato “I rifiuti gettateli dove li avete prelevati”.

Sarà presente in sala l’autore.