Il personaggio vestito da manager dice a Cipputi che non è tutto in bianco o nero, che il capitalismo ha i suoi pro e i suoi contro. “Pro chi e contro chi, Ghislazzi, non mi lasci in sospeso…” ribatte il leggendario operaio di Altan. Uno scambio di battute assimilabile a questo si potrebbe fare, in una specie di triangolazione con Ezio Mauro e Silvio Berlusconi.
In occasione dell’ottantesimo compleanno di Silvio Berlusconi, all’interno di un numero de L’Espresso in cui si parla ampiamente del personaggio e del ruolo da lui ricoperto in tanti anni di vita imprenditoriale e politica, Ezio Mauro scrive un articolato intervento, intitolato (come nella copertina del settimanale) all’undicesima domanda, quella che chiuderebbe idealmente il ciclo della famose dieci domande, che mai ebbero risposta dall’ex Cavaliere, postegli per lungo tempo da Giuseppe D’Avanzo su Repubblica in merito alla sua vita privata e quella pubblica.
L’undicesima domanda, che giunge a chiusura dell’articolo è: “Ne valeva la pena?”
In un libro uscito postumo, Luciano Gallino fa riferimento – fra le altre cose – alla stupefacente capacità del neoliberismo di mantenere consensi pur in presenza di clamorosi fallimenti economici e finanziari, e tutto in ragione di campagne stampa unicamente e prepotentemente tese a condizionare così efficacemente l’opinione pubblica da riuscire, per l’appunto, a mascherare i fallimenti per poter continuare a garantire di ‘avere il sole in tasca’ (celebre motto berlusconiano, rivolto ai suoi venditori).
Così, è stupefacente come un uomo colto ed equilibrato, molto attento a ponderare parole e valutazioni come Ezio Mauro, possa essere incorso in un infortunio giornalistico così evidente. Per riprendere la vignetta iniziale: valeva la pena di chi, Ezio Mauro? Quella di Berlusconi o la nostra?
Vediamo un po’ e in ordine sparso. In quasi 10 anni di governo diretto – senza contare quelli ‘indiretti’, nei quali la cosiddetta opposizione a tutto ha pensato tranne, per esempio, non tanto ad approvare una legge sul conflitto di interessi, quanto ad APPLICARE quella che c’è già, del 1956, per non parlare delle facilitazioni tramite corruzione, ottenute per Milano 2, le sue reti televisive negli anni ‘80:
- ha fatto legiferare in materia di leggi ad personam (una per tutte, quella scandalosa sul falso in bilancio, per sé e per i suoi elettori imprenditori disonesti), unicamente tese al proprio beneficio, nonché leggi che hanno di fatto impedito moltissime rogatorie internazionali che avrebbero inciso profondamente su diversi processi a suo carico, molti dei quali chiusi con l’intervenuta prescrizione, spirata anche grazie proprio alle lungaggini sulle rogatorie e a un’ulteriore legislazione che ne ha dimezzato i tempi;
- a lui si devono gli indecenti scudi fiscali, sempre per favorire un proprio bacino elettorale;
- ha ottenuto strabilianti bonus pubblicitari a favore delle proprie reti televisive e testate giornalistiche;
- ha, di fatto, bloccato due altri fondamentali processi a suo carico, facendo approvare per due volte dei decreti sull’immunità altrui ma soprattutto propria (il lodo Schifani e il lodo Alfano, entrambi oggi al governo col Pd, a proposito…), indubbiamente destinati alla sanzione di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale – per primi lo sapevano i relatori e il suo staff giuridico, mica sono scemi – ma che intanto fecero trascorrere il tempo e, dunque, ancora una volta la prescrizione (si noti che la prescrizione è rinunziabile, sicché un uomo di Stato, in certi casi avrebbe anche il dovere morale di affrontare un giudizio: essere prescritti, checché ne dicano Casini e gli altri amici di Giulio Andreotti sul processo di Palermo, NON equivale ad assoluzione, nemmeno nella forma della sentenza che è NON LUOGO A PROCEDERE PER INTERVENUTA PRESCRIZIONE, art. 529 del codice di procedura penale, quello dell’assoluzione è il 530.;
- ha coagulato il peggio della destra italiana per sostenere i propri esecutivi e proseguire nella sua opera di governo;
- le sue aziende hanno fatto incetta di film e, conseguentemente, di ricchissimi spot pubblicitari;
- ha rimbambito milioni di italiani col mezzo televisivo, creando un consenso politico ed economico (sarebbe interessante sapere quanti voti ha portato la pubblicità Rovagnati);
- ha spaccato in due il Paese al solo scopo di creare un consenso politico attorno a Forza Italia (e, personalmente, sono convinto che il progetto fosse ‘in sonno’ da decenni, fino a quando è servito nel 1993 alla caduta del PSI di Craxi, suo grande sodale: sono tutt’ora fermamente convinto che la campagna elettorale di quello che sarebbe divenuto il partito Forza Italia, sia iniziata nel 1980 con l’andata in onda su Canale 5 della prima puntata di “Dallas”);
- tramite un pesante attacco a tutto campo per 365 giorni all’anno dei suoi portavoce politici e culturali, ha fatto sì che larghissime fasce della popolazione, specie quelle che direttamente pagano le tasse, si convincessero che la corruzione sia un reato con un solo colpevole, il corrotto, mandando assolto il corruttore nella coscienza popolare (basti ricordare la famosa, fra le tante, frase: “Nella prima Repubblica bisognava presentarsi agli assessori con l’assegno in bocca”, evidente ammissione di responsabilità penale, oltre che morale, praticamente il lupo che si veste d’agnello);
- sempre tramite la sua artiglieria pesante e sempre a scopo di consenso politico, per anni ha offeso, umiliato, vilipeso, alzato il livello di tensione sociale e politica nel nostro Paese, per poi invocare la ‘pacificazione’, tacciando di violenti coloro che non ci stavano, magari facendo osservare che lui e non altri avevano tirato il primo pugno e anche il secondo e anche il terzo;
- ha arricchito le proprie aziende e il proprio nucleo familiare in maniera smisurata;
- ha costruito con la presidenza del Milan – lui interista (scampato pericolo, annotazione personale, di nessuna importanza): lo si sapeva da anni, forse l’articolo rievocativo di Scalfari di qualche giorno fa finalmente convincerà anche i più scettici – e con la creazione del ‘modello Milan’, una figura e una struttura di potere che ha generato profitti e consensi;
- ha, di fatto e con il consenso di Lega e neofascisti, frenato la giustizia penale, abolendo il cosiddetto ‘patteggiamento in appello’, che deflazionava notevolmente l’iter di moltissimi processi, introducendo il reato di clandestinità (intasando così le Procure, i Tribunali e le carceri) e inasprendo la recidiva – mentre dimezzava la prescrizione per gli incensurati – appesantendo in tal modo milioni di processi;
- ha rovinato l’economia di questo Paese, il suo senso civico, il livello culturale, il senso di appartenenza, il rispetto per le istituzioni, infarcendolo di maleducati e maleducazione, di insulti, di vergogna internazionale, di povertà di linguaggio e di senso morale;
- ha fatto passare per suoi legittimi difensori in diversi processi, deputati e senatori della Repubblica i quali, non solo in ragione delle udienze disertavano le proprie rispettive Camere di appartenenza, ma venivano retribuiti (se non anche de lui direttamente, affari suoi) con i NOSTRI soldi, essendo cioè pagati da NOI per impiegare giornate di udienze e giornate di studio dei processi a difesa di Berlusconi.
Per cui, Ezio Mauro, la risposta di Silvio Berlusconi – e di tutti i suoi mandanti e sodali – alla sua ingenuissima quanto pretenziosa domanda, penso che non possa essere altro che Sì, NE VALEVA LA PENA, CRIBBIO SE NE VALEVA LA PENA!
La sua pena, esponendo la propria persona e, di fatto, perfino il suo corpo (finti attentati, finte malattie, scandalo della puttane ad Arcore che lo ricattano al telefono) valeva sicuramente.
La nostra, direi per niente.
I pro sono stati tutti per lui. I contro, tutti per noi.
E, grazie, Ezio Mauro, per questa splendida pagina di giornalismo. Se ne sentiva proprio la mancanza, di un’altra pagina agiografica berlusconiana.
Avanti il prossimo.
Cesare Stradaioli