Un valido motivo per lasciare Facebook

La notizia è questa: la Corte d’Appello di Parigi dichiara che la giustizia francese ha competenza per processare Facebook. Motivo: l’oscuramento dalle pagine del network de “L’origine del mondo” di Gustave Courbet.

(Detto di passaggio: secondo Huffington Post, detto quadro raffigurerebbe un pube femminile. Ora, va bene che siamo nel terzo millennio, va bene la fretta di impaginare le notizie, però sarebbe stato opportuno che l’estensore dell’articolo avesse dato un’occhiata – non su FB! – a quello che si trova nel quadro di Courbet… e il/la primo/a che dice o scrive che raffigura una vagina, come scrivono e dicono gli americani, gli/le tolgo il saluto)

Ho una domanda: dato che Facebook è una struttura a gestione privata, dove si accede liberamente, senza nessuna costrizione, qualcuno mi spiega in base a quali norme, generali o particolari, un qualsiasi Tribunale di un Paese sufficientemente civilizzato, dovrebbe e soprattutto potrebbe imporre la rimozione del veto di censura?

Non vi garba che un quadro che raffigura una delle cose più ambite, ricercate e desiderate da diverse miliardate di esseri umani, maschi o femmine che siano, venga censurato in quanto ‘pornografico’? Non garba neanche a me – fra l’altro, l’attributo stesso di ‘pornografico’ è sdrucciolevole, c’è il rischio che qualcuno si offenda per essere definito (se non nato da parto cesareo), figlio di puttana, o di attrice hard core.

E con questo?

Facebook, in quanto azienda privata, ha tutto il sacrosanto diritto di fare quello che vuole al proprio interno e nella gestione del network, entro i limiti dei principi di ordine pubblico e francamente la censura di un’immagine, quale che essa sia, non mi pare proprio che costituisca un reato, né un illecito civile. Se io a qualche altro tizio fondassimo un club, per accedere al quale fosse richiesto di praticare il voto del silenzio, un giudice che si vedesse capitare sulla scrivania un ricorso, penale o civile, teso a esortare una sua sentenza che liberasse gli iscritti dal suddetto voto, farebbe volare il fascicolo fuori dalla finestra del proprio studio: se non vi garbano le regole di una struttura privata, semplicemente non fatene parte, punto e fine della storia.

Personalmente ritengo che la decisone di censurare L’origine del Mondo sia dettata da ignoranza, stupidità e, last but not least, da una severa problematica di ordine psichico intorno al sesso in genere e all’universo femminile in particolare. Dopo di che, non essendo possibile farci niente – e vorrei anche ben vedere! – beh, quale occasione migliore per uscire da FB?

Cesare Stradaioli

 

Continuità…

Mettiamo per un momento da parte qualsiasi considerazione sulle cosiddette ‘Primarie’ – cosiddette, in quanto poco hanno a che fare con le vere Primarie, mutuate dagli Usa – indette a Milano per la candidatura a sindaco. Ne riparliamo un’altra volta.

Nel momento in cui il sindaco uscente ha ricordato l’impegno preso all’atto della nomina, e cioè che non si sarebbe candidato per un secondo mandato, Matteo Renzi subito si premunì di affermare che l’orientamento del PD sarebbe stato quello di avere una candidatura “di continuità” con l’esperienza di Giuliano Pisapia.

Il lettore medio di una simile affermazione, cosa ne trae? Che il presidente del consiglio, nonché segretario del PD si sarebbe speso in prima persona e con la grande forza persuasiva di cui ora gode, per fare in modo che il candidato del partito avrebbe rappresentato, anche con nomi diversi e con programmi non necessariamente in stretta linea con la precedente giunta, una cifra immediatamente riconoscibile come situata nel solco delle politiche attuate negli ultimi cinque anni.

Naturalmente – primo, perché l’affermazione proveniva da un noto mentitore e secondo perché, comunque, siamo in Italia, dove le cose NON vanno come dovrebbero andare – non è stato così e, prontamente, la maggioranza renziana del PD ha imposto un candidato, Sala, che a dire la verità non rende difficile intuirne una continuità con la precedente esperienza: lo rende impossibile.

Ma queste sono considerazioni a livello generale: intendo dire che è pur sempre possibile – siamo sempre in Italia – che la giunta guidata da Sala realizzi una politica all’altezza di quella di Pisapia e, magari, anche di qualità migliore sotto vari profili. E, a questo punto, vale anche poco ricordare come Sala sia stato un personaggio di primo livello durante il governo della città a guida Letizia Moratti: oltre che in Italia, siamo nel Terzo Millennio, per cui vale tutto.

La considerazione, a mio giudizio, più importante è questa: come sia possibile candidare a sindaco di Milano un signore che ha gestito l’Expo 2015 – qualificata a cori unanimi come un successo (20 milioni di effettive entrate: nel 2000 i 21 milioni dell’Expo di Hannover furono considerati dai tedeschi un fallimento, ma i pareri sono come il buco del culo, ognuno ha il proprio) – e che, a febbraio 2016, nei giorni in cui si tenevano le primarie, e tutt’ora, non ha ancora presentato il bilancio di questa esperienza che è stata sbandierata come il fiore all’occhiello del candidato.

Un sindaco amministra: oltre che un politico, il primo cittadino è, a tutti gli effetti, il terminale di complesse procedure contabili. Che vanno gestite con professionalità, altrimenti la più avanzata, civile, progressista, solidale riforma va a farsi benedire: o non viene realizzata, rimanendo l’ennesimo ‘libro dei sogni’, oppure se realizzata, farà pagare negli anni successivi la sua scellerata gestione; ottimi motivi entrambi per indurre la popolazione a votare da tutt’altra parte politica alla consultazione immediatamente seguente.

Sala sarà pure un gentiluomo: oggi come oggi non abbiamo motivo per pensarla diversamente e da garantisti dobbiamo riaffermare con forza che un’indagine non significa responsabilità.

PERO’. Però, rimane il fatto che il PD affida le sorti di una città come Milano (e, cosa più importante, insiste su una totale ingerenza centripeta a livello politico, tutto rimesso nelle mani di pochi renziani che fanno e disfano le politiche locali e nazionali come meglio credono e senza alcuna seria opposizione) a un professionista che, va ripetuto alla nausea, ancora non solo non ha depositato il bilancio di una ‘sciocchezzuola’ come l’Expo – e QUELLO sarebbe stato un ottimo metro di giudizio sul suo operato – ma neppure è in grado di fornire cifre così, alla buona: memorabile fu la sua comparsata di qualche settimana fa in un programma televisivo, nel quale fece una figura sinceramente penosa, richiesto di dire qualcosa, qualche cifra, a proposito della manifestazione milanese.

Non sembra un bell’esempio di politica. Così come non lo è stata la sua prima dichiarazione, una volta ricevuta la candidatura: “Ora devo prendere i voti della sinistra“; a me, personalmente, sembra il programma di un candidato di destra. Un candidato di sinistra, IL candidato del PD, dovrebbe preoccuparsi di acchiappare i voti del centro e magari anche della destra. O no?

Dimenticavo: siamo in Italia…

Cesare Stradaioli

1 Comment

La borsa e la vita

Fermi tutti. “Uccide il ladro che voleva rubare l’incasso della giornata“?

Per caso, avete visto o sentito qualcuno – non io, non uno di voi, non abbiamo sufficiente eco e notorietà: ma a proposito di  assonanze, per esempio, gente come Umberto Eco, tanto per non fare nomi – alzarsi in piedi e dire: Signori, ma state scherzando? La vita di una persona vale l’incasso del giorno, fosse anche Bulgari in via del Corso?

No, non l’avete sentito. Per forza: non si è alzato nessuno. In compenso, si è alzato il vescovo di Chioggia, il quale ha avuto da dire sulla sentenza emessa dal Tribunale di Padova qualche giorno fa, con la quale è stato condannato a due anni e otto mesi di reclusione e a 350mila euro di risarcimento alla famiglia, un tabaccaio che aveva ucciso – sparandogli alle spalle mentre fuggiva, bisogna dirlo – un giovane ladro: eccesso colposo di  legittima difesa, a tanto così, secondo un passaggio delle motivazioni, dall’omicidio volontario.

L’alto prelato – così si dice – dopo avere, bontà sua e della tonaca che porta, avere speso qualche parolina di pietà per un morto ammazzato, ha dichiarato che il giudice avrebbe dovuto avere un occhio di riguardo al fatto che la condanna al risarcimento, oltre ad ‘arricchire’ i familiari del morto, impoverirà la famiglia del tabaccaio. In sostanza, secondo queste osservazioni, un giudice in determinati casi dovrebbe avere un occhio di attenzione alle conseguenze che potrebbero avere le sentenze che emette.

Il vescovo di Rovigo è un uomo come altri. Legge, ascolta, si informa. Sono certo che si interessa di cose pratiche, oltre che di quelle più soprannaturali che maggiormente gli competono. E in questo senso, la sua osservazione non è campata in aria, dal punto di vista finanziario: in effetti, ove la sentenza del Tribunale di Padova diventasse definitiva, il condannato e la sua famiglia andrebbero incontro a enormi difficoltà di ordine economico.

Tuttavia, appare evidente come il vescovo rodigino si sia inserito – consapevolmente o meno – in quel solco che ultimamente si sta approfondendo in maniera preoccupante, secondo il quale la giustizia deve avere un occhio all’economia (ai schèi, insomma, non meniamo più che tanto il torrone: che siano del signor tabaccaio o di competenza del ministro Padoan): e, inserendosi in questo solco, si mette sulla scia di personalità accademiche ed esperti di economia e finanza, oltre che di politici molto rappresentanti ma assai poco rappresentativi.

Il giudice applica la legge, quale che essa sia. Se la ritiene incostituzionale, o solo dubita che lo sia, sospende il giudizio e invia gli atti alla Corte Costituzionale, affinché ne venga verificata la compatibilità con questo o quell’articolo della nostra legge fondamentale. Le leggi, financo gli articoli della Costituzione – o quasi tutti – non sono scritti ora per sempre: sono soggetti a mutamenti sociali, di costume, di cultura, di approccio politico e come tali possono essere cambiati (e, se del caso, devono esserlo).

Se non ha alcun dubbio in proposito, il giudice la applica, punto e basta. Non può essere consentito di argomentare sul fatto che il giudice, nell’applicare la legge e nel ricercare la pena più adeguata da irrogare, o il provvedimento civilistico più consono da prendere, debba anche farsi carico delle conseguenze che ne possono derivare. Non gli compete. NON DEVE competergli. Senza contare che, ove dovesse in qualche modo passare una riforma che, per contro, ponesse sulle spalle del giudice il giudizio e la valutazione di cui sopra, si arriverebbe per vie traverse a concretare uno dei desiderata più genuini e incistati nel codice genetico della destra, vale a dire il controllo dell’esecutivo sul giudiziario.

Un domani si forma un indirizzo di pensiero, largamente maggioritario, secondo il quale questa o quella norma di legge deve essere cambiata, senza dover passare attraverso il lungo e tormentato giudizio della Corte Costituzionale? Ebbene, c’è un potere legislativo che, unito a quello esecutivo, ha tutti i mezzi per cambiarla, quella legge, ovvero modificarla.

Lo faccia il potere legislativo, di propria iniziativa o approvando quella del potere esecutivo che si esprime con i decreti legge: ma non si chieda al potere giudiziario, oggi come oggi l’ultimo caposaldo che garantisca un minimo di legalità di decenza, di supplire alla inanità, all’ignoranza, alla beceraggine, alla stupidità e al servilismo cui sono assoggettati gli altri due.

E, magari, la prossima volta, pensando alle ben peggiori conseguenze, morali e materiali, qualcuno eviterà di togliere le vita a un essere umano, per qualche migliaio di euro.

 

P.S. Parlando di morale: che fine hanno fatto le radici cristiane dell’Europa con cui tanto si armano i volenterosi sostenitori della moneta unica, del ministro unico dell’economia, della UE, del libero mercato, di Schengen e di altre pinzellacchere del genere? Voglio dire, a prescindere dalle mie convinzioni (anzi, proprio in ragione di quelle), io non posso dire di non essere cresciuto in una società cristiana, anzi giudaico-cristiana – ogni tanto c’è qualche talebano cristiano che dimentica che tutta quella faccenda che comincia il 25 dicembre e finisce sul Golgota riguarda in via esclusiva, salvo la breve apparizione di Ponzio Pilato, un mucchio di ebrei circoncisi, primo fra tutti il Cristo. Se è vero, come pare essere assodato, che quello che si apprende nei primi quattro anni di vita rimane per sempre, anche se non con influenza decisiva nell’esistenza di ciascuno, mi domando come sia possibile che qualcuno, salvo rarissime eccezioni, nato in Europa, possa sostenere di NON essere nato e cresciuto in un ambiente profondamente intriso di senso religioso. Detto questo, pur non credendo nell’esistenza di un’entità superiore che dispensa giustizia, ritengo che di quel minimo di senso di umanità e di empatia siamo tutti debitori e riconoscenti a quelle radici. Non troverei, altrimenti, per quale altra ragione, oltre che di libertà e di eguaglianza, i rivoluzionari dell’Enciclopedia, parlassero di fraternità, o da dove si fosse inventato Schiller l’inciso dell’Inno alla gioia, secondo il quale un domani tutti gli uomini saranno fratelli.

Insomma: a fronte di tutti questi sindaci che vanno in tv o su internet e giocano a fare l’ispettore Callaghan, a fronte di politici, giornalisti, conduttori di media, che insistono sul diritto all’uso delle armi anche oltre la legittima difesa (che, peraltro, è prevista dal codice penale fascista e il guardasigilli Rocco la intendeva in modo molto restrittivo), che irridono l’ammazzato in quanto ladro, zingaro, extracomunitario e che ne sottovalutano la vita rispetto a un pugno di dollari, dove sono le voci dei ministri di dio o sedicenti tali?

E’ indicativo che il vescovo di Rovigo, che sarà senza dubbio una brava persona, si preoccupi del risarcimento dei danni e non dei due anni e otto mesi, quindi niente sospensione condizionale della pena – che poi sarebbe la pena principale che viene inflitta alla quale andrà incontro il tabaccaio. Che, senza volère, come ama celiare Maurizio Venasco citando un tormentone della sua terra, anche per il tabaccaio valgano più i soldi che dovrà pagare rispetto alla sua, di vita?

P.P.S. Lo dico da avvocato – ma senza dubbio gliel’avrà detto il suo: stia tranquillo il tabaccaio, che in galera non ci va, al di sotto dei tre anni c’è l’affidamento in  prova. Significa che se al Tribunale di Sorveglianza andasse bene, sconterà la pena (con 75 giorni di liberazione anticipata – ‘buona condotta’ – ogni sei mesi scontati) lavorando nel proprio esercizio, con l’unica limitazione di non poter uscire di casa da sera a mane (e, possibilmente, senza tenere armi in casa).

E questo grazie alla legge Gozzini che, secondo i beceri che si scandalizzano per la condanna, consente di dire che “in Italia non va in galera nessuno“.

Cesare Stradaioli

Che fare? (2)

Un conoscente di origine vietnamita, ma con cittadinanza italiana da oltre 35 anni, mi raccontò che un giorno, all’imbarco di un volo da San Francisco di ritorno in Italia, si trovava in coda dietro un gruppo di ragazzi italiani che stavano facendo il consueto baccano tipico della nostra bella terra, attirandosi occhiatacce da tutti i presenti.

Con il garbo noto a chi lo conosce, si avvicinò a uno di questi dicendogli “Non facciamoci sempre riconoscere, ragazzi…” – tale è il suo sentirsi anche italiano, oltre che profondamente vietnamita.

Costoro tacquero subito – è un Maestro di Viet Vo Dao cintura nera all’ennesima potenza, dunque gode di una certa aura di autorevolezza: una ragazza, a voce bassa (ma non abbastanza da non farsi udire da lui) disse agli altri: “Che figura, ci facciamo riprendere da un cinese...”

E’ notizia di ieri che, a seguito dell’approvazione di una legge di pretto stile nazista, Ai Weiwei – uno dei più famosi e perseguitati artisti cinesi – abbia ordinato, per protesta contro il governo danese, il ritiro delle sue opere da una mostra già aperta a Copenhagen.

Ci siamo fatti riprendere da un cinese, noi europei inerti e infingardi.

Cesare Stradaioli

Stampa gaglioffa

Il Presidente iraniano si sarebbe trovato in imbarazzo a visitare un luogo in cui si trovano figure nude?

Dal momento che si trattava di una visita PRIVATA, qualcuno mi spiega per quale motivo si è reso necessario dare pubblicità, visibilità alla copertura dei nudi?

Perché pubblicizzare una cosa del genere che, proprio IN QUANTO PUBBLICIZZATA, ha gettato discredito sull’Italia?

Se la nostra stampa, gaglioffa, venduta e puttana non ne avesse dato notizia, se la visita fosse stata effettivamente privata e, dunque, senza la presenza di terze persone, se non ci fosse in questo stramaledetto Paese una inestinguibile foia di cercare a tutti i costi la NOTIZIA, lo scandalo, l’allarme, la paura (emblematica, in questo senso, la ‘scelta’ di dare ossessiva pubblicità a qualsiasi cretinata o massacro scriva o compia l’ISIS, che senza rimbalzo propagandistico perderebbe consensi – ricordo il silenzio stampa sui comunicati delle BR), il tutto sarebbe rimasto confinato all’interno di – lo ripeto – una visita PRIVATA: in quanto tale, qualsiasi cosa fosse accaduta durante il suo svolgimento, eventuali reati a parte che non mi pare siano stati commessi, sarebbe stata di significato zero, sputtanamento zero, polemiche zero, teatrino fra ministri zero, solite boiate dette da Renzi zero.

A questo punto, bisogna prendere atto di una cosa: c’è un trust di cervelli che, settimanalmente si riunisce allo scopo di creare una non notizia, una bufala, da usare come arma di distrazione di massa: la questione dei nudi coperti durante la visita di Rohani, è l’ennesima trovata di questa banda di pensatori in libertà.

La prossima?

Cesare Stradaioli

1 Comment

Igiene linguistica

Rivolgo un appello, rivolto a chiunque abbia un po’ a cuore non solo la lingua italiana (che non è solo l’Italiano, come fa dire Sciascia a un personaggio de Una storia semplice – sullo schermo magnificamente reso dal grande Volontè – ma soprattutto il ragionamento), ma anche la sveltezza mentale e detesti la relativa pigrizia.

Vi  prego, non dite STEPCHILD ADOPTION; riprendete – con le buone, s’intende – chiunque lo dica, lo scriva, lo pensi perfino.

Non è odio per l’inglese – chi scrive lo parla da quando ha 3 anni.

Quella che è in programma nel progetto Cirinnà NON è, ripeto NON è un’adozione: è un’affiliazione.

Allora, cominciamo col chiamare le cose col loro nome: l’adozione è il punto di arrivo di una ben determinata procedura, complessa, difficile e – per diretta testimonianza degli interessati – molto spesso dolorosa e senza esito positivo.

L’affiliazione è il prendersi in carico un minore, con o senza un vincolo di parentela e fa parte di una procedura del tutto diversa, che fra l’altro NULLA ha a che fare con gli orientamenti sessuali di nessuno.

Un po’ di pulizia di linguaggio, un po’ di precisione, giusto per non dare SEMPRE l’idea di parlare ad minchiam, come diceva il compianto professor Francesco Scoglio.

Cesare Stradaioli

E adesso, povera Europa?

Prima di tutto: la UE non è uno Stato federale. Pertanto, non esistono obblighi di stretto carattere istituzionale che vincolino i singoli Stati che ne fanno parte.

Ne consegue, in secondo luogo, che esistono unicamente vincoli di carattere commerciale e contrattuale, né più e né meno che fra due o più aziende nazionali o multinazionali.

All’obiezione che no, non è vero che non esistano vincoli di livello istituzionale, che i trattati di natura politica, di fatto SONO obblighi istituzionali, io rispondo citando l’esempio dei Paesi che hanno, UNILATERALMENTE deciso di sospendere l’efficacia del trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone e tirando in ballo Hans Kelsen, probabilmente il giurista più importante del XX° secolo, il quale – in sintesi, sia chiaro – sosteneva come l’effettività della legge, di ogni singola norma che non si limiti a descrivere una determinata situazione ma contenesse anche delle prescrizioni, fosse da commisurarsi sulla effettiva applicabilità di sanzioni, in caso di violazioni di dette prescrizioni.

Allora: neppure il Barcellona o, in piccolo nel nostro giardinetto, neppure la Juventus, da padroni quali sono, possono pensare che sia consentito che il capitano, mentre la squadra sta perdendo 4 a 0, decida di prendere il pallone e portarselo via o, più semplicemente, di uscire dal campo e sospendere la partita, adducendo la ragione per la quale una sconfitta di tale livello, oltre magari a comportare la mancata conquista di questa o quella coppa, costituirebbe un vulnus irrimediabile al buon nome della società calcistica. Dovesse capitare un evento del genere (stai attento, Cesare, mi dice una vocina, che per caso tu non stia dando una bella idea a qualcuno…), la società, unitamente ai tesserati che avessero preso parte al gesto, andrebbe incontro a pesanti squalifiche e forti sanzioni, sportive ed economiche.

Ora, dal momento che non solo Danimarca e compagni di merende vari che hanno sospeso Schengen, non sono stati sanzionati in alcun modo, ma neppure si profila all’orizzonte un qualcosa di più efficace di un’alzata di sopracciglia, la conseguenza della risposta all’obiezione non potrebbe che essere una: NON esistono vincoli di carattere istituzionale, se non altro perché non vi sono sanzioni da applicare a chi violi questo o quel trattato di natura politica.

Tutto questo per chiedere – e rispondere immediatamente: che fare, con la Danimarca che approva una legge che porterà alla confisca di tutti i beni degli immigrati che dovessero essere accolti?

Magari, qualcuno potrebbe ringraziare la buona sorte che non sia passato un correttivo in peggio, di detta legge, il quale correttivo avrebbe comportato la confisca anche delle fedi nuziali.

Bene: in effetti, il peggio non è mai morto, come si dice in Veneto. E però, che fare? Lo si deve accettare e basta? E’ segno di pragmatismo politico – magnifico concetto che serve a tavola ogni qual volta non si ha né carattere né autorevolezza per intervenire dove si potrebbe e si dovrebbe – fare finta di niente e soprassedere al fatto che uno Stato come la Danimarca (che, non va dimenticato, nei primi anni ’50 discriminava i bambini con lievi ritardi, cfr. “I quasi adatti” di Peter Hoeg, che non ha scritto solo “Il senso di Smilla per la neve”) approvi una legge che venti anni fa avremmo attribuito alla Rhodesia o al Sudafrica dell’apartheid?

La domanda, considerato il sito che la ospita, è retorica. Escluso che si possa prendere a calci nel culo ogni danese che si incontra – e neanche sarebbe male, rimango dell’idea che il colpirne uno per educarne cento sia stata una delle più azzeccate indicazioni del Presidente Mao – non rimane che fare altrettanto, dal punto di vista sostanziale: boicottare qualsiasi cosa che provenga dalla patria di Andersen e di altri pedofili come lui.

E se dovesse servire, se il gioco dovesse farsi duro, bene: cari fratelli/coltelli dell’Europa sedicente unita, avete deciso che adesso che non potete più scegliere solo gli emigranti qualificati, con titoli di studio, specializzati e già possibilmente parlanti la vostra lingua, ma tocca anche a voi ospitare che capita? Avete deciso di chiudere le frontiere, che si arrangino i Paesi del Mediterraneo e che vadano a quel paese le radici cristiane che vengono sbandierate a tre palle a un soldo?

D’accordo: e allora QUESTO Paese del Mediterraneo, che si trova a dover fronteggiare da decenni l’emergenza emigrazione (alle volte anche in maniera ridicola: qualcuno mi spiega per quale motivo, due anni fa, una nave croata, avendo soccorso dei migranti, invece di tenerseli – essendo una nave, come un aeromobile, territorio dello Stato, quindi di fatto accolti in Croazia – li abbia gentilmente scaricati ad Ancona, e soprattutto che le Autorità portuali e politiche italiane glielo abbiano lasciato fare senza dire bah?) e che, a quanto sembra, dovrà fare altrettanto per i prossimi decenni alla faccia della solidarietà europea, da domani mangerà le proprie arance, le proprie olive, i propri pomodori, berrà il proprio latte e panificherà il proprio pane.

Violeremo trattati commerciali? Certo che sì. E con questo? Quale sarebbe la sanzione, pensando a Kelsen? Ci faranno causa? Chi? Avanti quale Tribunale? Chiedendo cosa: la confisca del Colosseo? Il sequestro e messa all’asta della Torre di Pisa? L’esproprio del Ponte di Rialto?

Va bene così? A me, onestamente, sì. E che nessuno abbia la faccia di tolla di parlare di autarchia: che, a proposito di facce, mi tocca parafrasare Andreotti, dopo la seconda sberla, di guance non ce n’è più.

Cesare Stradaioli

 

1 Comment

Cambiare la legge 194

Nel suo fondamentale testo “La fabbrica della peste”, Franco Cordero ripercorreva la terribile vicenda della peste a Milano ed esaminava, anche sulla scorta degli scritti di Alessandro Manzoni sulla cosiddetta Colonna Infame, quali in realtà fossero le responsabilità dei giudici e quali quelle della legge.

I Giudici applicavano la tortura: non era una loro libera iniziativa, magari dettata da malevolenza o semplice crudeltà personale. Essi, nel somministrare la sofferenza fisica all’esaminato, non facevano altro che applicare la legge. Contro di essa – e non contro i Giudici – avrebbe dovuto prendersela il Manzoni. Per contro, la vulgata è sempre stata quella che vedeva nei Giudici delle persone abominevoli che, in nome di Dio, davano sfogo a non meglio precisate pulsioni personali.

Cambiare la legge, esorta Cordero – che, credete a chi ha non solo letto i suoi saggi storico-politici, ma si è fatto il mazzo sul suo testo di Procedura Penale, con i Giudici usa spesso il carico da undici – è il solo modo perché non avvengano abusi o comportamenti che riteniamo ripugnanti. I Giudici fanno – facciano! – solo il loro mestiere, che è quello di mettere in pratica le norme.

Da anni la legge 194 è sotto assedio: lo dico senza mezze misure, prepariamoci a un futuro ravvicinato nel quale la libertà di interrompere una gravidanza non desiderata sarà messa a dura prova. Diamine, era il 2008, otto miseri anni or sono, non ottanta, quando l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori era difeso praticamente da tutti, tranne che Ichino, Brunetta, Giavazzi e tre o quattro altri pasdaran del liberismo! Praticamente intoccabile – a parole: e guardate come siamo ridotti ora.

Le forze di sinistra – intendo anche quelle composte da chi non siede in Parlamento – dovrebbero agire d’anticipo e battere gli avversari, riformulando una legge con molte pecche.

Perché, purtroppo tocca contraddire anche persone in assoluta buona fede ma completamente digiune di letture, razionalità e capacità di analisi, il medico obiettore NON viola la legge: ricorre all’obiezione di coscienza, che della legge 194 è parte integrante.

Dobbiamo ancora fare tantissimi passi in avanti, al fine di analizzare in maniera più compiuta – per poi trarne una teoria generale fondante di determinati comportamenti – il significato di parole come ‘vita’, ‘concepimento’, ’embrione’, ‘intelligenza’.

Personalmente, non lo dico da oggi, io ritengo che un feto sia vita al 100%: e tuttavia, è un individuo che non è ancora nato e, dunque, all’interno di una tempistica ragionevole e comunque determinata da clausole arbitrarie, frutto nient’altro che di accordi politici (per dirne un’altra: chi lo stabilisce che la maggiore età sia a 18 anni? Una convenzione e niente altro: tutti noi conosciamo sedicenni molto più maturi di quarantenni e sessantenni che maturi non lo saranno mai, ma una convenzione è necessaria, quando non si può ricorrere all’oggettività della scienza), sia umanamente lecito ricorrere all’interruzione di gravidanza.

Ebbene, si cambi la legge e si abroghi il diritto di obiezione. Punto e basta. Altrimenti ci si prepari a una vera guerra contro le donne e la loro autodeterminazione.

Magari si riformuli il giuramento di Ippocrate – che, è stato più volte detto amaramente, meriterebbe di essere chiamato giuramento di Ipocrita – dal momento che  la frase “perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita…”, di esso fa parte integrante.

E già che ci siamo, consentite il richiamo a uno slogan coniato da una personalità politica incorrotta e di livello mondiale, Adele Faccio, quando ripeteva fino allo sfinimento: ABORTO LIBERO PER NON MORIRE E CONTRACCETTIVI PER NON ABORTIRE!

Più educazione sessuale, più prevenzione, più informazioni di carattere igienico e preventivo: l’indecisione su una gravidanza e di cosa fare avviene DOPO, dopo che la contraccezione non è stata praticata o è stata praticata male.

Sarebbe il caso e l’ora di fare qualcosa di opposto a quello che viene normalmente fatto in questo Paese dove tutto è a rovescio: facciamo una legge dalle fondamenta, con un capo e una coda e con delle forti norme di sbarramento.

Cesare Stradaioli

 

 

 

 

 

 

Questione (im)morale

Vorrei subito mettere in chiaro un punto: per quanto mi accingo a scrivere, non mi importa nulla se i vertici politici del Movimento 5 Stelle fossero o meno a conoscenza di quando sostiene il sindaco (abbiate pazienza: ‘sindaca’ è un insulto all’estetica linguistica; perché, allora, non cominciamo, dopo ‘ministra’ e cose del genere, giusto per mantenere una bella parità, a contare ‘una’ , ‘dua’, ‘tra’, ‘quattra’, ‘cinqua’ e così via?) di Quarto, in merito ai presunti legami con la criminalità organizzata campana. Specularmente, non intendo mettere in questione l’onestà del primo cittadino della città, ma questo solo relativamente al problema di cui sopra.

Quello che io contesto con tutta forza alla signora Capuozzo è il fatto di avere taciuto sulla casa che divide col marito: casa che sarebbe stata, secondo le indagini e l’ipotesi investigativa a carico di De Robbio, l’altro politico M5S, oggetto del tentativo di estorsione, proprio a carico del sindaco. Va ricordato che il tutto si sarebbe – sempre d’obbligo, il condizionale – concretato durante una riunione del consiglio comunale di Quarto, durante il quale il De Robbio, contrariato per l’opposizione a un qualcosa a cui lui teneva (non importa, in questa sede, cosa) ha sventolato – ripreso dalle telecamere – verso il sindaco una foto della casa coniugale, che sarebbe passata indenne da un’indagine per abusi edilizi.

Il sindaco Capuozzo sapeva della questione relativa all’abuso edilizio? Allora non avrebbe dovuto candidarsi.

L’ha saputo dopo essere stata candidata? Avrebbe dovuto ritirarsi.

L’ha saputo dopo essere stata eletta? Avrebbe dovuto dimettersi o, quanto meno, recarsi un Procura un minuto dopo la fine di quel consiglio comunale.

Non lo sapeva? Lo sa adesso: ne tragga le dovute conseguenze. Anche se è difficile credere che non ne fosse al corrente: diversamente, che senso avrebbe avuto, per De Robbio, se davvero voleva ricattarla, sventolarle in faccia e in pubblico la foto della casa di residenza?

La realtà, diciamocelo, è un’altra: il sindaco Capuozzo, che di per sé SAREBBE una persona onesta, in realtà non lo è: perché figuriamoci se non sapeva della vicenda della casa. Avrebbe dovuto farlo presente alle selezioni del M5S: non l’ha fatto, perché in questo Paese cose del genere non sono ritenute lesive dell’interesse pubblico e delle leggi o, comunque, di lesività talmente bassa da sfiorare il reato impossibile.

Ma soprattutto, non l’ha fatto perché non ha spirito di servizio, senso dell’onore i quali, se presenti nel suo carattere personale e politico, l’avrebbero indotta a comportarsi in maniera più consona.

Cesare Stradaioli

 

1 Comment

COS’E’ ANDATO STORTO

Eugenio Scalfari era riuscito a costruire nei primi vent’anni diRepubblica, uno strano, strabiliante ibrido, vale a dire una macchina da guerra politica e insieme “il più autorevole quotidiano italiano”. Questo ibrido è diventato in questi ultimi vent’anni, sotto la direzione di Ezio Mauro, un giornale di battaglia politico-culturale e uno dei quotidiani più diffusi in Italia. Insomma, mentre Scalfari metteva i piedi nel piatto della politica, quotidianamente, riuscendo a rimanere “autorevole”, il giornale di Mauro tendeva a “prendere parte al discorso pubblico e alla battaglia culturale” eppure consentiva al Corriere della Sera, rianimato dalla “leggerezza” della doppia direzione Paolo Mieli e irrobustito dalla doppia direzione di Ferruccio De Bortoli, di risorpassarlo in autorevolezza.

Questa è certamente una differenza, di tipologia e di livello, fra le due direzioni. Ma c’è qualcosa che le accomuna, nel bene delle intenzioni e nel male dei risultati. Lo si rileva nello stesso editoriale di addio di Mauro. “Il genio di Scalfari quarant’anni fa ha cambiato il giornalismo”, egli vi sostiene, “ma soprattutto ha scommesso su un cambiamento del Paese che avesse le sue radici nella modernizzazione, nell’Europa, nella piena agibilità di un sistema politico bloccato”.

Una scommessa persa. Un cambiamento che purtroppo, ammette mestamente il successore di Scalfari e predecessore di Mario Calabresi, non è avvenuto. “E’ il traguardo che indichiamo da decenni”, rivendica, ma non l’abbiamo raggiunto. La “società politica dell’alternanza, nella distinzione feconda e vitale tra i concetti di destra e sinistra e le loro proiezioni politiche” è rimasta una “speranza”. 

Esattamente da quattro decenni. Nei primi vent’anni, scalfariani, ha dominato Craxi, il nemico n.1 dell’asserito “giornale partito”, per tacere degli altri; nei secondi vent’anni, mauriani, ha dominato Berlusconi, il nuovo nemico n.1 per il giornale che ha combattuto contro conflitto di interessi, “abuso di potere legittimo”, leggi ad personam, strapotere mediatico, compravendita di parlamentari, malcostume e corruzione…

E adesso – dopo aver contrastato ma anche involontariamente esaltato, con la titolazione forzata e le cronache ossessionanti il “nemico” di turno, ma anche i comportamenti riprovevoli che più sembravano e sembrano prestarsi alla “cronaca forte”, al titolo che “acchiappa” il lettore, alla esagerazione della realtà, per non parlare delle istanze commerciali e pubblicitarie alla base di molte scelte redazionali in materia di costume, di tendenze, di mode, ecc. ecc. –adesso che rimane? 

Quale Italia politica, quale nemico o avversario o interlocutore o addirittura compagno di strada si consegna nelle mani di Calabresi, il terzo direttore, il primo scelto direttamente dall’editore e non più dal fondatore?

Mauro, anche qui, sostiene che la Repubblica “ha visto, letto e contrastato il cambio di egemonia culturale che ha investito il Paese negli ultimi vent’anni” e che “ha aperto naturalmente la strada alla destra politica”. L’ha vista, letta, contrastata ma evidentemente non è riuscita a vederne la sconfitta, a contribuire a sconfiggerla.

Questo, sembra dire Mauro, ora è affare di Calabresi. E’ lui che deve decidere se continuare la guerra di Scalfari e le battaglie di Mauro o, insieme e spalleggiato dall’editore e “tessera n.1 del Pd”Carlo De Benedetti, interloquire con il “nuovo” emerso dall’“amalgama non riuscito” fra i resti del Pci e i resti della Dc.Che farà ora Calabresi, di fronte a questo cambio di egemonia? E in quale posizione, rispetto ad esso, lo scalfariano Mauro pone la leadership di Matteo Renzi? In quale categoria, innanzitutto? Nella sinistra, nel centro-sinistra, nel centro, nel “partito della Nazione” o addirittura tra i frutti del cambio di egemonia a favore della destra politica? 

Mauro, nel suo editoriale di addio, pare non prendere nemmeno in considerazione Renzi né ciò che ne ha reso possibile la leadership, che la contraddistingue e che essa ha prodotto e produrrà nel Paese, oltre che evidentemente dentro la “community” diRepubblica. Mauro, al contrario di De Bortoli, non dice nemmeno se abbia sentito, nel cambio di egemonia in corso nel Pd, nel centro-sinistra e nella politica italiana, lo “stantio odore della massoneria”.

Ma probabilmente la soluzione del problema è altrove, rispetto alla tradizione di Repubblica, “a cui viene chiesto”, osserva scalfarianamente Mauro, “non solo di informare ma di prendere parte…”. Prendere parte: alla fine – parlando con decenza – come fanno Feltri, Sallusti e Belpietro. Ciascuno dalla propria parte, per la propria parte.

Dalle parti di Repubblica non ci si è mai chiesti, sinora, se un quotidiano non abbia invece l’unico ed esclusivo dovere di “informare”, nel più intelligente, articolato ed efficace dei modi, senza la pretesa di “formare”, di imporre “una certa idea dell’Italia” (titolo dell’editoriale di Mauro) o addirittura “una certa idea di mondo” (titolo di una delle feste di autoesaltazione di Repubblica).

Né se fra i mali di questo Paese, in questi quarant’anni, non debbano essere inseriti anche l’assenza di un giornalismo, di un grande giornalismo, capace di informare (e che informando tenda a rappresentare pezzi di opinione pubblica) e il predominio di una informazione schierata che ha programmaticamente imposto opinioni (e interessi) di parte, nella pretesa di formare essa, dall’alto, pezzi di opinione pubblica.

Stretto fra Scilla e Cariddi, tra “azionismo di massa” e derubricazione della “battaglia culturale” a lucrosa (per l’editore) narrazione dell’esistente – e dicendolo un po’ più terra terra, qui ed ora, tra anti-renzismo e filo-renzismo – Mario Calabresi potrebbe prendere il largo dando vita, più semplicemente, ad una terza fase diRepubblica: fare giornalismo, fare un giornale, fare informazione e basta (cosa che, sia chiaro, è più gravosa e complicata, oltre che più utile per un paese come l’Italia, che fare un giornale di opinione e di parte).

Si spera, per il bene di tutti, che abbia le capacità, la voglia e la possibilità di farlo.