2 commenti

Chiacchiere e distintivo

Fermi tutti: non gioco più. Più o meno è quanto dicono e in maniera anche piuttosto esplicita, Svezia, Danimarca e Germania, con il ripristino dei controlli alle frontiere e con la minacciata chiusura dei flussi di accoglienza di profughi. Per non parlare di Ungheria e Slovacchia. Per non parlare del progetto di legge danese che, se approvato, prevederebbe la possibilità per il richiedente asilo di trattenere con sé l’equivalente di €400, mentre tutto il rimanente dei suoi eventuali averi verrebbe trattenuto e confiscato a compensazione delle spese sostenute dallo Stato per la sua accoglienza (non mi vengono in mente aggettivi adeguati, trovatene qualcuno voi – a parte l’idiozia, perché il bieco nazionalismo è prima di tutto idiota, del pensare che questa gente arrivi in Europa carica di denari e preziosi, che DISTRATTISSIMI scafisti e trafficanti di uomini non hanno già provveduto a confiscare loro per primi).

Cerchiamo di essere chiari. Il punto non è tanto e non solo il fatto che alle frontiere ci siano nuovamente i controlli, anche per i cittadini europei. In fin dei conti, detta senza ironia, qual è il problema a mostrare un documento a un doganiere francese o austriaco? Cosa ci sarebbe di così drammatico? Perché, prima, trenta anni fa, si viaggiava con disagio, al freddo e al gelo, in carovana? Si mostrava il passaporto, se serviva si apriva la valigia per un controllo… Scusate, perché invece adesso, dopo l’11 settembre?

Il punto è che tutta l’ideologia, la propaganda, la fuffa (c’è un nome per le cose: ci sono anche i neologismi e se li usa Paolo Conte possiamo usarli anche noi) che da decenni anni ci ammorba intorno all’Europa, al mito arcadico di uno Stato Federale (quante volte l’abbiamo ripetuto ai leghisti dotati di capacità di ascolto che uno Stato o nasce federale – USA, Germania, Australia ecc. – oppure non  potrà mai diventarlo?) dove girano liberamente merci e persone, dove le fontane buttano vino e c’è pane lavoro e libertà per tutti, tutto questo circo mediatico, si è sfaldato.

L’Europa, come la vorrebbero i creatori e sostenitori dell’euro, è finita. L’Europa federale è nata morta. Tutte le sue sovrastrutture, l’austerità, l’indipendenza della BCE, la cessione di sovranità dei singoli Stati si sono rivelate per quello che sono: fondali da set cinematografico. Tutta apparenza e niente dietro.

L’avvento della migrazione di massa – guerre, fame, rapina delle risorse naturali, regimi sanguinari – ci ha spinto più in là, ci ha costretti a fare posto e a entrare dentro le porte del saloon del film western dentro il quale ci piaceva tanto vivere e una volta entrati abbiamo scoperto che il saloon non c’è, che dentro non c’è niente, CHE DIETRO NON C’E’ NIENTE. Solo fondali. Solo apparenza. Solo trattati senza senso, senza concretezza, senza umanità: non solo dal punto di vista morale, ma disumani nel senso di carenti di presenza umana, di intelligenza umana, di partecipazione umana concreta.

Trattati, Parlamento europeo, Commissari europei, moneta unica, continente senza frontiere, unità e comunità di intenti fra una cinquantina di etnie diverse, una decina di Stati, alcuni dei quali fondatori del MEC, dove perfino al loro interno vigono rancori, rivendicazioni, discriminazioni: solo chiacchiere e distintivo.

Cesare Stradaioli

 

IL LIBRO DEL MESE DI GENNAIO 2016 consigliato dagli amici di Filippo

Si tratta di uno dei libri italiani meno letti – forse il meno letto in assoluto – eppure intorno ai quali più si è discusso, negli ultimi decenni e abbiamo pensato che il quarantennale dell’assassinio di Pasolini meritasse un’analisi dell’ultima opera, quella incompiuta.

E’ un lavoro che, a leggere quanto lo stesso Autore ne scrisse, presentandolo, era nato incompiuto, destinato a esserlo. E’ chiaro che uno scritto pensato per essere complicato di suo, interconnesso fra personaggi privati e fatti politici, dove una certa forma di ossessione sessuale incrocia l’indignazione politica, posto il lettore di fronte a larghe sue parti sotto forma di appunti, aggiunte, parentesi, parole in alternativa fra di loro, si presenta per quello che è, cioè irto di difficoltà: non tanto di lettura – ché la scrittura pasoliniana è ampia, aperta, per nulla ermetica – quanto di comprensione.

D’altra parte, affrontare un testo rimasto incompleto richiede una particolare forma mentale e un approccio decisamente diverso da quello che si riserva ad altri scritti, magari più densi e contorti nella forma, ma pur sempre decifrabili, se non altro in ragione della loro compiutezza.

E’ stato definito un’opera di “disperata archeologia umana” e raramente di uno scritto è stata formulata una definizione così completa e pienamente descrittiva. Al suo interno troviamo registri di altissima poesia e di cupe camminate nello sterco, metaforico e reale, analisi sociali spietate e anticipatrici, in un continuo alternarsi di modernità e reazione, cifre tipiche dell’intera produzione artistica pasoliniana, narrativa, poesia e cinematografia.

Abbiamo ipotizzato che fosse comunque destinato a essere incompiuto: giunti alla fine della lettura, si ha l’impressione che Pasolini, letteralmente, non ne potesse più. Più che di una resa, di fronte a un Potere immane, invincibile e inattaccabile, sostenuto dagli abitanti del Palazzo e, unitamente a loro, da una popolazione abbruttita, imbesuita dalla nuova ricchezza e dalla televisione, si dovrebbe parlare di una presa d’atto. Gli ultimi scritti, mano a mano che si avvicinavano ai primi di novembre 1975 – è chiaro che solo dopo è consentito trarre queste conclusioni – sono sempre più duri, accusatori, diretti, lividi, verrebbe da dire, risentiti.

Quale che sia stata la dinamica della sua morte, crediamo che nessuno potrebbe osare affermare che Pasolini volesse, consapevolmente, morire, che cercasse quella morte così iniqua, in quel modo così abietto: di sicuro, e questo purtroppo è un dato di fatto che risultò subito dalle prime indagini e dall’autopsia, si è trattato di un Calvario, di un martirio e ognuno, dopo avere letto questo libro, è libero di pensare che se la fosse, in qualche modo, cercata.

Espiazione, senso di colpa, vendetta verso un mondo che detestava (infliggersi una morta così atroce da gettare in faccia al Potere, come una specie di prosecuzione del terribile eppure così vero “Io so”, pubblicato poche settimane prima della fine), si dica quello che si vuole. Dalla lettura di questo scritto, oltre a certi momenti di poesia pura, di abiezione rivendicata come stile, oltre a una radiografia spietata e cruda di una certa umanità e di un ceto religioso e politico che hanno fatto della vergogna il loro marchio, si apprezza una considerazione amara, sconfortante: è stato ed è tutt’ora possibile scrivere le peggiori cose su Andreotti, sui petrolieri, sul Papa, era ed è consentito fare nomi e cognomi del Palazzo e non è successo niente, non succede niente, non cambia niente; vai a rompere i coglioni a un giro di prostituzione maschile a Ostia e ti ammazzano come un cane.

Succedevano e succedono ancora cose del genere, in questo disgraziato Paese.

 

Cesare Stradaioli

Pier Paolo Pasolini – Petrolio – Oscar Mondadori, pagine 593, €12,00

E sarebbe Donald Trump, il cattivo?

E’ probabile che non verremo mai a conoscenza, quanto meno fino in fondo, dei retroscena che hanno (o dovrebbero avere) portato la multinazionale “Apple” al pagamento di una considerevole cifra, a favore del fisco italiano. Quello che si legge, che viene fatto intendere, è che finalmente anche le grandi compagnie, in qualche modo, renderanno conto sotto forma di adempimenti fiscali, dei loro enormi introiti. Chissà se è vero, chissà se in futuro altre multinazionali, ricorsi e appelli a parte, finalmente pagheranno – è da vedersi anche in quale misura – il dovuto all’Erario verso il quale sono tenute.

Non ci si può, però, esentare da una considerazione: uno dei capolavori di chi conduce l’economia di mercato, è sempre stato quello di saper creare i ‘buoni’ e i ‘cattivi’, inducendo il cittadino (che, per solito, le tasse le paga eccome) a credere non solo a questa bipartizione, ma che in un modo o nell’altro, se proprio vogliamo essere critici verso il sistema, se proprio non ci si accontenta di dare la responsabilità della disoccupazione ai migranti, le colpe se le cose vanno male devono essere addossate, per l’appunto, al ‘cattivo’ di turno.

Che sia uno sportivo drogato oppure scommettitore, che sia un funzionario corrotto (sempre, invariabilmente, oscurando – altro miracolo della propaganda – il fatto che se c’è un corrotto, c’è per forza anche un corruttore, ma i corifei della ‘Casta’ sono refrattari a considerare questo piccolo particolare), che sia un politico (?) boccalone, volgare, eccessivo, arrogante.

E i ‘buoni’, chi sarebbero? Il benefattore Bill Gates? Il simpatico e cool Mark Zuckerberg? L’idolatrato Steve Jobs, che raccomandava di essere affamati e scemi (“foolish“: assurdo, sciocchino, babbeo, dissennato – The New Oxford)? L’efficientista Marchionne?

I ‘buoni’ sarebbero tutti questi galantuomini? Che si servono di abili avvocati e funzionari (pubblici e privati) compiacenti, elaborano algoritmi e strategie non tanto e non solo per produrre il massimo profitto dalle loro attività, quanto piuttosto e forse soprattutto per fare una cosa peggiore del drogarsi, prendere bustarelle, scommettere su una partita di serie B, vale a dire evadere il fisco. Per non pagare le tasse.

Sono questi, i ‘buoni’? Questi giovani – o meno giovani, sempre comunque giovanili – che ci ripetono di essere positivi, che il futuro è roseo, che la globalizzazione è la panacea di tutti i problemi del mondo, che il mercato è uno e irreversibile, che la crisi è un’opportunità (grazie, lo sappiamo da oltre un secolo che per loro la disoccupazione è una risorsa, non una tragedia), che basta lacciuoli, basta regole, basta burocrazia, che bisogna spacchettare tutto, rinnovare tutto, essere positivi, innovativi?

E il tutto, alla fin fine, si risolve sempre in quello: pagare meno tasse o non pagarne del tutto. Rubare soldi alla comunità, nascondere, occultare, dissimulare, ingannare, frodare, raggirare e farsi beffe di tutto questo.

Se questi sono i ‘buoni’, i cattivi chi sarebbero?

Buone feste e guidate con prudenza.

Cesare Stradaioli

 

Governabilità o democrazia?

Il governo Renzi pone la fiducia sulla legge cosiddetta di stabilità (una volta era “La Finanziaria”). Si tratta di un provvedimento di importanza facilmente intuibile da chiunque, dal momento che, cito fonte della Ragioneria Generale dello Stato, “La legge di stabilità, insieme alla legge di bilancio, costituisce la manovra di finanza pubblica per il triennio di riferimento e rappresenta lo strumento principale di attuazione degli obiettivi programmatici definiti con la Decisione di finanza pubblica. Essa sostituisce la legge finanziaria e rispetto a quest’ultima prevede novità sia in ordine ai tempi di presentazione sia in merito ai contenuti.”

Ora, rispetto a una legge di tale importanza, il governo non affronta il voto del Parlamento. Si tratta di una decisione molto grave, che ormai sistematicamente quando si tratta di porre la fiducia, viene annacquata dai mezzi di comunicazione, che così allineati all’esecutivo non si vedevano neppure negli anni oscuri della DC al governo, diciamo pre-riforma RAI del 1976.

La gravità di una simile decisione è speculare all’importanza della legge per la quale viene chiesta: ritengo che sia chiaro a chiunque che quanto più un provvedimento è importante e così fortemente caratterizzante la politica e l’economia di un Paese, tanto più è necessario, è indispensabile che l’organo deputato alla legislazione – che è il Parlamento, NON il Governo – dispieghi una discussione e un confronto approfonditi e minuziosi.

La decisione sembra presa e, a meno di clamorosi incidenti, la fiducia verrà data e la legge di stabilità passerà così com’è, senza che gli eletti, i NOSTRI eletti, abbiamo potuto discuterla, confrontarsi su di essa, modificarla se necessario: in poche parole, esercitare la democrazia.

QUESTA è governabilità: non vi è dubbio. Quanto al tasso di democraticità, non ci siamo. Del resto, è pericoloso spendere, a ogni piè sospinto, il termine governabilità, perché si rischia prima o poi che qualcuno osservi come anche il regime di Saddam era stabile, prima che forze esterne e preponderanti lo abbattessero; il Fascismo era garanzia di governabilità e senza andare in cerca di leggi razziali, campi di concentramento, Pogrom verso ebrei e omosessuali e di interventi bellici, anche la Spagna di Franco e il Portogallo di Salazar e Caetano erano esempi di governabilità, in quanto forme di governo ad altissimo tasso di stabilità.

La domanda è un’altra ed è molto più terra terra: dove sono, adesso, le firme più famose, i nomi più influenti, i politici più in vista, che quando Berlusconi poneva la fiducia (specie nei cosiddetti Decreti Legge Omnia, così chiamati perché contenevano provvedimenti del tutto eterogenei fra loro, simili alle offerte dei negozi di dischi, che se volevi quel tal disco prestigioso a prezzo stracciato ti dovevi portare a casa anche una ventina di schifezze su vinile che nessuno comprava) lo attaccavano in nome della democrazia, della dignità del Parlamento e della opacità dei provvedimenti legislativi?

Cesare Stradaioli

Pagliacci

Vedere Renzi in mimetica che parla con la sua solita prosopopea ai militari, di suo fa venire il vomito.

Notare, poi, mentre si allontana dal palco, che sotto porta i pantaloni del vestito, fa virare tutto verso il comico.

Al confronto, Benito Mussolini a torso nudo, falce in mano, alla battaglia del grano, fa la figura dello statista.

Cesare Stradaioli

2 commenti

Alla guerra e diciamolo anche in giro

E’ stata spesso fatta della facile ironia su “Porta a Porta”, su chi ci andava, sul significato di questa trasmissione; ben poco c’era e c’è da scherzare, invece, sull’enorme impatto mediatico che ha questo enorme contenitore.

Ora, senza voler per forza sempre fare polemica: ma c’è qualcuno che trova RAGIONEVOLE che un Presidente del Consiglio, vada in televisione, come un berlusconi qualsiasi, a sparare puttanate e proclami da Capitan Fracassa 2.0, ad annunciare l’invio in zona di guerra (con buona pace del ministro Pinotti che NEGA che i militari italiani vadano in guerra – e se gli sparano i cecchini, come si difendono? A parolacce?) di 450 soldati a presidiare i lavori di ripristino di una diga pericolante e pericolosa?

E tutto questo prima ancora di consultarsi con il Consiglio Superiore di Difesa (il cui Presidente sarebbe il signore che sta al Quirinale) e prima ancora di presentare alle Camere un decreto Legge – anche questo, da sottoporre al suddetto signore?

A qualcuno sembra un comportamento politico da persona responsabile e matura andare ad annunciare coram populo (e, di passaggio, anche all’Isis, che ringrazia per l’informazione: sono in corso i preparativi per una calorosa accoglienza) l’esatta dislocazione di militari in zona di guerra?

Per dire: è come se Hollande, quando annunciò le ritorsioni militari francesi, avesse detto “bombarderemo qui, qui e qui”, così i miliziani del posto avrebbero avuto tutto il tempo per darsela. Ovviamente, per quanto Hollande non brilli per acume politico, da parte dell’Eliseo non è stato specificato alcunché, perché l’ultima cosa che mi deve venire in mente di fare, se voglio andare armato in casa altrui, è fargli sapere dove, come e quando.

Altra cosa: questi 450 militari da chi sono tutelati? Perché anche uno che ha fatto il servizio civile come il sottoscritto sa che, specialmente in zona anche montuosa (c’è una diga…), una copertura di elicotteri è il minimo sindacale per un’azione di protezione da attacchi e, se del caso, per apprestare una rapida evacuazione.

Non è dato sapere.

D’altro canto, è nei momenti che contano, quelli gravi (specie se poi ci scappa il morto figlio di mamma italiana), che si vede il profilo dell’esecutivo di un Paese; il nostro, di esecutivo, è una combriccola di dilettanti allo sbaraglio, ragazzini col gelato, ex fascisti, economisti da tre palle a un soldo e opportunisti di ogni risma.

Mancano due cose, dopo l’annuncio di Renzi dal salotto di Vespa: Gassman a cavallo e Monicelli dietro la macchina da presa. Troppo professionisti, entrambi, per stare agli ordini di un ciarlatano nato e cresciuto all’ombra di Mike Bongiorno.

Cesare Stradaioli

17 Dicembre

 

 

E’ passato un anno da che Filippo ci ha lasciati. E non si può certo dire che sia stato un anno noioso, povero di idee, di avvenimenti, di tragedie.

Non è facile sottrarsi allo sconforto, alla disillusione: è dura resistere alla tentazione di lasciare perdere tutto, di girarsi dall’altra parte, di occuparsi di cose più frivole, facili, appaganti.

Soprattutto – scrivo a titolo personale, ma sono certo di interpretare il pensiero di tanti – come si fa a non pensare a quanto ci manca il giudizio di Filippo? A quanto ci fosse di aiuto una sua frase, non necessariamente sempre seria e incalzante? E magari ci dimentichiamo che, più spesso forse di quanto abbiamo in mente, Filippo invece di darci corda o di condividere, ci avrebbe pungolato con i suoi argomenti, anche detti in maniera sferzante, insofferente.

Di tutto quanto è accaduto, è stato detto, fatto, pensato, promesso, ipotizzato in questi 12 mesi, credo che a Filippo non sarebbe piaciuto quasi niente: ci manca, a me personalmente almeno, anche la soddisfazione di stuzzicarlo dopo la finale di Champions League persa dalla Juventus. Pur sapendo bene che sarebbe stato in grado di rispondere alla grande, anche in quel caso: mai una soddisfazione, in materia calcistica, da un martello come Filippo!

Comunque, facciamocene una ragione: Filippo ci mancherà per tutta la vita. Per cui, invece di rimpiangere il fatto che non ci sia più – cosa che un laico come lui disapproverebbe – ‘stiamo sul pezzo’, come si dice nel giornalismo (o ‘teniamo gli occhi sulla palla’) e proviamo a fare a meno di lui e a pensare, insieme al “cosa avrebbe detto Filippo”, a cosa avrebbe fatto e come.

Glielo dobbiamo, per quello che ci ha dato l’averlo incontrato e conosciuto.

Cesare Stradaioli

 

In morte

Con tutto quello che può averci diviso da Armando Cossutta e dal suo percorso politico durato 60 anni, oggi il ricordo va a un vero comunista (e per nulla ottuso staliniano come ancora oggi lo definiscono i diffamatori di professione) che anche da sconfitto ha chiuso la propria vita nel riserbo e nella dignità.

Di questi tempi, non è poca cosa.

Cesare Stradaioli

2 commenti

Fuori dalla palude renziana

Bisogna togliere al più presto i piedi dalla palude renziana. Dobbiamo uscire dalla logica di un contraddittorio imposto dagli altri, da coloro che dovrebbero dare risposte sensate e responsabili – sempre che siano in grado.

Come scriveva Pasolini in “Petrolio”, non bisogna mai accettare il linguaggio del nemico: capirlo, sì, accettarlo mai.

La questione relativa alla posizione del ministro Maria Elena Boschi, concernente il ruolo ricoperto da padre e fratello nella gestione della Banca dell’Etruria deve essere affrontata nel modo corretto, che non è quello che il PD renziano ha cercato, per ora con notevole successo direi, di imporre.

Il punto non è discutere se il signor Boschi padre sia o meno una persona onesta: per quello che è dato sapere, lo è, non essendo emersi (almeno per ora) elemento di rilievo penale; ma, come si diceva, il problema è mal posto, come sempre nel dibattito politico di questo sventurato Paese. Abbiamo già scordato le dichiarazioni di Marina e Piersilvio Berlusconi sull’onestà del padre? E le risposte che ricevettero, in punto di moralità politica, quando il babbo disse di avere ‘saltato’ la riunione del consiglio del  ministri da lui stesso presieduto, onde evitare che si parlasse di quella noiosissima rogna del conflitto di interessi?

Poco conta se Boschi padre sia onesto: la cosa fondamentale, la questione davvero dirimente sta nel fatto che sua figlia è ministro del governo attualmente in carica che ha preso provvedimenti gravi e pesanti (specie considerando la situazione socioeconomica in cui versano milioni di italiani) e già solo per questa ragione in un Paese civile dell’Occidente, la suddetta ministro (perdonate, ma ‘ministra‘ mi sembra ridicolo fino all’offensivo) si sarebbe dimessa, non semplicemente allontanatasi dal collegio governativo al momento del voto del decreto legge. In uno di quei Paesi ci si dimette per molto ma molto di meno.

Vorrei concludere queste poche note col richiamo a una frase letta in occasione della presentazione di un film sulla coscienza tedesca e il nazismo e mi pare una frase che dovrebbe fare riflettere – molto più in piccolo rispetto alla tremenda eredità di un regime, di una guerra e dei disastri che ne sono seguiti – sul concetto di moralità e spirito di servizio che dovrebbe animare chiunque aspiri a un ruolo politico: Rispetto alle azioni compiute dai padri, i figli non sono colpevoli, ma ne sono responsabili. Ne devono, cioè, rispondere, usando le risposte che, a loro volta, devono pretendere dai loro padri.

Cesare Stradaioli

2 commenti

Ma mi faccia il piacere…

Non è dato capire per quale motivo – che ci sarà senza dubbio e anche ben fondato – Renzi si ostini a voler presentare Giuseppe Sala come candidato sindaco  del PD per Milano.

Il refrain è noto: si tratta di una brava persona, un galantuomo, un onesto. Anche mio padre era una brava persona, un galantuomo e un onesto: non per questo aveva i requisiti per fare il sindaco. Inoltre, essendo dichiaratamente di destra – e ricordo che Sala è stato uno dei principali collaboratori del sindaco Moratti – difficilmente l’avrei visto come candidato del centrosinistra: temo, però, che anche mio padre avrebbe apprezzato Renzi e garantisco (conoscendo l’uomo, mio padre) non è una bella cosa da dire per uno che è segretario del PD, ma provate a dirlo a un elettore qualsiasi…

C’è un refrain anche peggiore e concerne l’Expò: un successo, milioni di biglietti venduti, un sacco di stand meravigliosi, uno spettacolo di pubblico e di professionalità che ha rilanciato l’Italia.

Vorrei fermarmi alle cifre, perché poi E’ LI’ che si deve giudicare un personaggio come Sala (e tralascio per carità ‘cattocomunista’ – preferirei gattocomunista ma non si può avere tutto – il fatto che innumerevoli conoscenti, di diversi orientamenti politici, mi abbiano detto – e l’avranno detto anche a voi – che la maggior parte degli stand faceva pena schifo e malinconia).

Era stata preventivata la presenza di 30 milioni di visitatori: sono stati staccati 24 milioni di biglietti, ma attenzione, fra i 4 e i 5 milioni sono stati dati ad agenzie, società, associazioni e così via, il che non significa affatto che siano venute 24 milioni di persone; infatti, sono state registrate 21 milioni di presenze. Tutto bene comunque, anche se sono quasi 9 militante in meno del previsto? Non è proprio così.

Nel 2000 si tenne l’Expò ad Hannover e furono registrate 20 milioni di presenze: ancora oggi, in Germania, se ne parla come del “Fiasco di Hannover”.

Potremmo fermarci qui, ma non basta. A tutt’oggi, non è dato sapere, intendo dire che non c’è NIENTE di pubblicato, né sul cartaceo e men che meno in rete, a proposito del bilancio dell’Expò: e quando si parla seriamente di ‘bilancio’ non si intende la parolina magica che usano a sproposito i giornalisti, ma quella cosa un po’ rompipalle che consiste nel mettere nero su bianco le entrate e le uscite di una determinata attività.

Insomma, in poche parole, nessuno sa se l’Expò, al di là della cifra di visitatori che 15 anni fa fu giudicata in Germania un fiasco – mentre da noi diventa un trionfo, si vede proprio che i tedeschi con gli affari e la matematica non ci azzeccano – sia stato dal punto di vista di quelli che si chiamano i conti della serva, un successo, un così così o un flop.

E il Presidente del Consiglio propone come candidato sindaco a Milano un signore che non sa, non vuole, non può parlare dei conti dell”Expò – tu guarda la coincidenza, tenutasi proprio in quella città.

Perché?

Cesare Stradaioli