I (NUOVI) MOSTRI

Sono uccellacci spaventosi, inquietanti, quelli che si aggirano sopra la figura addormentata ritratta da Francisco Goya – che, è stato detto, forse rappresenta lui stesso – il quale concreta gli incubi di chi dorme e li porta fuori da lui, dalla sua immaginazione o dal suo personale destino, per paventarne l’ingresso nel nostro. Parafrasando ciò che pare disse Churchill a proposito della Jugoslavia, il XX° secolo ha probabilmente prodotto più mostri di quanti dai quali non siamo stati abbastanza accorti dal proteggerci; l’immaginario collettivo, a volte deriso come concetto, va pur sempre a votare, si informa (o non si informa: il che, alla lunga, non misura troppa differenza), prende determinate strade sociali e, volendo, di mero consumo – e quanta importanza nella vita sociale ha assunto la bottega, troppa! – insomma contribuisce a riempire piazza Venezia ma anche piazzale Loreto, con tutto quanto comporta prima e consegue dopo.
Bisognerebbe riflettere su quali siano questi mostri, generati dal sonno della ragione, che tanto spesso vengono evocati e che, proprio per questa sistematica evocazione, fatalmente si riducono a un ristretto numero di nomi e rappresentazioni, quanto più spaventose possa essere possibile. Urge, a mio giudizio, questa riflessione; occorre dare delle coordinate o forse semplicemente ripensarle, fermo restando che chiunque si accosti con un minimo di serietà e di esperienza di vita alla storia terrà, sì, nel debito conto la figura del caporale boemo ma non potrà e non dovrà mai dimenticare chi lo fece cancelliere, al di là dell’apparenza del voto (ovvero: vedi l’immaginario collettivo di cui sopra). In altri termini: se Hitler è stato un mostro, ebbene egli/esso non fu il solo a essere stato generato da quel sonno in cui sprofondò la Germania battuta e umiliata dai vincitori e con essa, come spesso accade, tutta l’Europa a traino e, più in generale, l’Occidente.
Ripensare, riconsiderare la sembianza e l’effettivo peso, nella vita di chiunque, di quegli uccelli che minacciano il dormiente serve a rimanere consapevoli che il mostro non di rado veste i panni della democrazia, del dialogo, del confronto; ha da tempo, da quando ne scrisse Bertolt Brecht, imparato a parlare il linguaggio di chi gli si oppone in nome della giustizia sociale e dell’uguaglianza e così ne confonde strategia, pensiero, azione e questo sarebbe anche il meno. La Ragione dormiente potrà anche avere predisposto, prima di assopirsi, determinati sistemi a presidio della propria esistenza, oltre a qualche figura cartonata, a riprodurre il Pol Pot o il generale sudamericano di turno, ma limitandosi a questo, non si accorgerà che ben altri uccelli, spesso travestiti da simpatici e innocenti usignoli, ne minacciano vita e capacità di perpetuarsi.
Se, per tornare un momento a Brecht, il nemico marcia spesso alla testa di chi porta le armi, è anche vero che con sempre maggiore frequenza usa il sorriso al posto del ghigno, il bon ton al posto dello stivale che batte il selciato e porta con sé formidabili armi, non tanto di distrazione, quanto di assopimento di massa. Un popolo prende sonno, sicuro di avere lasciato fidate sentinelle in grado di riconoscere il mostro e di svegliarlo quando serve e, però, ferme a canoni ormai sorpassati, esse non si accorgono che il mostro non sembra più tale: non vuole più impaurire il dormiente; non gli serve. Gli basta che continui a dormire.

Cesare Stradaioli

AULE

La figura umana, ma anche quella politica, di Silvio Berlusconi sarebbe adatta a una commedia di Scarpetta, soprattutto nel suo oscillare fra la vera miseria e la finta nobiltà: qualche tratto di tragica comicità (o di comica tragicità) lo vedrebbe inserito anche in qualche opera brechtiana e il tutto costituirebbe materia di piacevoli conversazioni se non ci fosse toccato di averlo come contemporaneo e con lui una stampa così povera e serva come neanche nei bui anni splendenti del miracolo economico si poteva notare. Quanto meno, all’epoca voci di opposizione senza sconti facevano la propria parte, a prescindere dall’efficacia conseguente.
Se termini come povera e serva paiono esagerati, bisognerebbe allora trovarne altri per definire il susseguirsi di notizie di stampa a proposito del possibile futuro di Berlusconi quale Presidente della Repubblica: è una notizia talmente non-notizia, che non meriterebbe neppure un commento più  che brevissimo non tanto sull’ipotesi – del tutto fantascientifica – quanto sul perché una simile idiozia possa avere tanta eco mediatica. Detta in altri termini: non è ipocrita prendersela con i negazionisti della pandemia che discutono del nulla, quando la stampa italiana a voci quasi unanimi insiste a occuparsi di una cosa, Berlusconi al Colle per l’appunto, che è meno fondata e più insensata di qualsiasi fanfaluca propalata da un novax?
Se non altro, questo perenne ritorno dell’ex cavaliere consente qualche riflessione. Per esempio intorno alla frase che nel 2003, durante una sessione del Parlamento Europeo, pronunciò all’indirizzo di Martin Schulz, definendolo ‘kapò’ – il fatto dovrebbe essere citato come ennesimo, superfluissimo motivo per escludere anche il retropensiero che vede Berlusconi succedere a Mattarella e invece, come sempre nel nostro Paese, diventa battuta, chicca, albertosordata. Questa andrebbe immediatamente ricollegata a un’altra uscita dell’allora capo del nostro governo il quale, nella medesima occasione, dette dei ‘turisti della democrazia’ ai componenti dell’augusto consesso.
Bisogna separare le opinioni del singolo, chiunque egli sia, anche l’esponente di una crudele dittatura, dai dati di fatto e dall’effettivo significato di ciò che viene detto, a qualsiasi persona o qualunque cosa si riferisca. E’ una questione di igiene del pensiero politico. Se pensiero politico si vuole fare: altrimenti, televisione e stampa rigurgitano di offerte che soddisfano ogni altra esigenza e la scelta non manca. La definizione rivolta ai parlamentari europei, depurata dello sgarbo e del tono come quasi sempre maleducato e cafone che connota l’uomo, era (è) davvero così fuori luogo? Li ha chiamati turisti: non disonesti; non ladri. E cos’è, cos’è stato in passato e cosa pare poter essere anche in futuro, un eletto che a spese di tutti noi – che, come tutti gli altri cittadini europei di un proprio Parlamento già disponiamo – se ne sta tre giorni a settimana (quando va bene) a Bruxelles o a Strasburgo, a discutere della lunghezza delle baguette, sull’asetticità delle mozzarelle o sul calibro dei profilattici? Al quale (ai pochi quali, coscienziosi) sono consentiti 30 minuti (TRENTA) una tantum per prendere visione delle bozze di accordi politico-economici quale per esempio quelle relative al TTIP, trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti che, dovesse entrare in vigore semplicemente cambierà la vita di un miliardo di persone nel solo occidente e questo per una cinquantina di anni, e questa presa visione è ammessa senza possibilità di trarne appunti essendo vietate al parlamentare che dovrebbe valutare e votare in proposito (!) carta, penna e qualsiasi forma di registrazione? Che sale alla notorietà quando, quasi all’unanimità con i suoi degni colleghi, vota quell’oscena indecenza che equipara fascismo e comunismo?
A me pare che la concreta effettività politica di un’assise quale il Parlamento Europeo (spesso sostituito, nelle  notizie e nei fatti dal cosiddetto Eurogruppo; entità trasversale, fortemente esecutiva che semplicemente NON ESISTE nello statuto dell’UE – e c’è voluto Yanis Varoufakis a dircelo: se aspettavamo PD e altre anime belle, elefanti messi a riposo come premio Oscar alla carriera…), equivalga grosso modo a quasi niente: sicché, da cittadino europeo dovrei sentirmi indignato più da quello che non dalla sgradevole uscita di Berlusconi e occuparmi di cose serie e non di quello che pensa un singolo.
Valga lo stesso, guardando il passato. La definizione di Mussolini, ‘aula sorda e grigia’, 1922, era per caso riferita a un brillante e agguerrito consesso di eletti, che si stava accingendo a opporsi con tutte le proprie forze all’immanente dittatura? O non parlava invece di un’accozzaglia di mezzi uomini, ominicchi e quaquaraquà, vecchie cariatidi e giovani vecchissimi, nel loro insieme di maschi tonitruanti infinitamente meno coraggiosi della donnetta di colore che a Montgomery si sedette nei primi posti di un autobus? Tenutaria di un silenzio rotto solo dalle voci di Antonio Gramsci, Giacomo Matteotti e pochissimi altri e che tutto quello che riuscì a esprimere fu il ritiro aventiniano?
Rileggendo la storia, oggi come allora non bisogna sentirsi offesi dalle parole del futuro autocrate (prego, insisto: non si usi più il termine ‘Duce': riassume, fra gli altri, sostantivi quali onore e riconoscenza, che il capo del fascismo non merita), il quale esprimeva un pensiero che già all’epoca era ben noto (soprattutto ai mandanti: gli agrari emiliani), quanto all’effettività di quelle parole, che nella coscienza di tutti noi dovrebbe ancora oggi pesare come una montagna; il Parlamento di Strasburgo è stato arredato in modo da essere luminoso, conta numerose presenze femminili e non pochi abiti eleganti, vi si parla in modo forbito, politicamente correttissimo e misurato (a parte l’esempio di cui sopra) e anche se non può essere definito sordo e grigio – caso mai muto – sentir dire che sia popolato da turisti (turisti: donne e uomini dotati di trolley), dovrebbe fare riflettere. E non su chi lo dice.

Cesare Stradaioli

BASTA CAPIRSI

E’ significativo che, nel mare di commenti, osservazioni, recriminazioni rispetto alla mancata conversione in legge del DDL Zan e, più nello specifico, riguardo a cosa abbia fatto e dove si trovasse Matteo Renzi al momento del voto in Senato, ne mancasse uno, il più fondamentale e totalmente scevro da opinioni personali, essendo un mero dato di fatto oggettivo. Significativo, ma non sorprendente: nessuno gli ha chiesto conto del fatto che, essendo un parlamentare, non solo non si trovasse dove avrebbe dovuto – e cioè in Senato – ma che stesse facendo sostanzialmente gli affari propri.
Tutto tranne che sorprendente: non possiamo, non dobbiamo sorprenderci. Ma non tanto e non solo che Renzi abbia usato a suo piacimento il tempo e il ruolo conferitigli dalla carica parlamentare, sovvenzionati da noi adesso con il suo stipendio da senatore e dai nostri figli in futuro sotto forma di vitalizio. Non è il caso, qui, di mettersi a fare la avvilente conta delle percentuali di assenteismo dei parlamentari della Repubblica Italiana. Il punto è che NESSUNO gliene abbia chiesto conto. Il massimo che è riuscito a fare il corpus della stampa intera, commentatori inclusi, è stato di stigmatizzare il fatto che in qualche modo stesse lavorando per un signore che è a capo di una dittatura integralista religiosa – di passaggio: accusato dalla CIA (l’intelligence dei suoi più fidi sovvenzionatori, gli USA, non da un branco di arrabbiati bolscevichi) di essere il mandante di un crudele omicidio – e che, per questo stesso motivo, non brilla per democrazia e rispetto dei diritti umani.
Non è questo il punto.
In qualità di senatore, il signor Matteo Renzi – ma chiunque altro al posto suo, sia chiaro – deve stare in Parlamento (intendasi: in aula oppure nella specifica commissione riservatagli) e, nei ritagli di tempo del suo lavoro, rimanere in contatto con la base elettorale che lì l’ha mandato. Per questo viene lautamente (giustamente, aggiungo) ricompensato, oggi e in futuro. Insomma, deve fare quello per cui è stato eletto.
Se lui o uno come lui, invece di fare il parlamentare se ne va in giro per il mondo a prendere lauti gettoni di presenza per conto di un farabutto che sottomette il suo popolo o anche se lavorasse gratis per Emergency, in ogni caso mancherebbe al suo ruolo, al suo impegno e per questo stesso fatto – meramente oggettivo, l’abbiamo definito: sfido chiunque a confutare una tale definizione e sostenere che sia innervata di opinioni personali – è da condannare.
Il fatto è che del Parlamento non importa più nulla a quasi nessuno. Fin da bambini ci hanno riempito la testa e la pancia con concetti quali democrazia, rappresentanza, parlamento, dibattito parlamentare, governo, opposizione, poteri bilanciati fra loro; è tempo di dire che il loro significato è planato vicino allo zero e qualcuno si sta occupando degli scavi per penetrarlo sotto terra. Al di là della mera e insignificante protesta su quanto costa un parlamentare, il cittadino italiano medio non va: non ne ha la voglia né il motivo. Da decenni Camera e Senato sono diventati luoghi in cui si svolge uno staco e francamente noioso refrain: approvare, con la minaccia della fiducia e del tutti a casa appassionatamente, un provvedimento pensato, scritto e deciso altrove e cioè nell’ambito del potere esecutivo. Con tanti saluti a quello legislativo, espropriato, trasferito, rinominato e alla narrazione della tripartizione con l’altro piccolo porcellin, quello giudiziario.
Una campagna stampa idiota e facilona ha portato alla significativa riduzione del numero di deputati e senatori: non serviva – non servirà – a niente, fino a quando in omaggio alla pervicace, malefica e autolesionista tabe che vuole un uomo solo al comando (si chiami Mussolini, Craxi, Berlusconi, Monti, Napolitano o Draghi non cambia nella sostanza e nel concreto quasi niente), qualcuno si decida a mettere tutti in riga, perché è notorio che gli italiani non si governano, bensì si prendono per manina a fare i compiti che c’è, in alternativa, la bacchettata sulle dita o la merendina come premio. Onestà avrebbe voluto la totale scomparsa del Parlamento, per quello che serve. Un governo guidato da qualcuno che non è eletto bensì scelto dal Presidente della Repubblica (magari a sua volta eletto dai cittadini, come vorrebbero i soliti idolatri del potere forte) e che opera a colpi di decretio blindati con la fiducia (e il voto segreto) non è necessariamente sinonimo di colpo di stato e qualcuno prima o poi ci arriverà a scriverlo, vale la pena di scommetterci. Inoltre, che diamine, non è più tempo di marce su Roma, carri armati o principi pagliacci che credono di esautorare un potere legislativo già esangue di suo con un battaglione di forestali.
Che nessuno metta Renzi all’angolo, dicendo a lui e a tutti i cittadini di smetterla di chiedere e chiedersi con chi fosse e perché, obbligandolo ad ammettere che semplicemente lì dov’era non era il suo posto – c’è sempre la scelta di dimettersi da parlamentare e legittimamente uno fa quello che più gli pare, gli piace e gli fa comodo – perché la stampa è un’accozzaglia di analfabeti (di politica e della lingua italiana) servi e proni o perché la domanda e l’eventuale risposta non interessano a nessuno, è un dilemma che lasciamo volentieri ad altri.
Veda qualcuno di decidere cosa sia peggio. E’ davvero una bella gara al ribasso.

Cesare Stradaioli

IL VACCINO C’ENTRA POCO

Il Covid19 è solo un pretesto, un tragico incidente che crea l’occasione. Al di là e oltre le manifestazioni, le dichiarazioni rese in pubblico o sentite nei propri privati, a parte gli slogan, i cartelli e l’evidente scollamento sociale, c’è ben altro, ben diverso e ben più grave del rifiuto opposto al vaccino e alle misure da prendere. C’è insofferenza. Per le regole, per i comportamenti, per i limiti che un consorzio civile impone, per la riflessione, per la mediazione.
E’ un’insofferenza generalizzata, onnicomprensiva, multiforme: una delle sue forme più palesi ed esemplari al riguardo è quella forte e debordante nei confronti di quello che per comodità chiamiamo universo femminile, che sfocia in maniera vieppiù preoccupante nell’omicidio, peraltro non necessariamente più intollerabile delle botte sistematiche e della sottomissione come programma di vita.
Nel suo manifestarsi in una svariata serie di comportamenti, appare chiaro che si tratti di una condizione di grave sofferenza personale diffusa ovunque: non vi è zona, quartiere, provincia, regione che ne sia esente. Diffusa per quanto cupa, torva, aggressiva fino alla stupidità del gesto inutile – non sarebbe da stupirsi se buona parte dei partecipanti alla manifestazione di Roma sfociata nell’assalto alla sede sindacale neanche avesse ben chiaro cosa sia la CGIL, quanto e chi rappresenti. Soprattutto, un’insofferenza vuota, povera di contenuti se si gratta la superifice, zeppa di parole e concetti per lo più distribuiti a caso. Non si ha traccia di ribellione propositiva o gioiosa, nemmeno vagamente innervata nella rabbia che la muove; non c’è creatività, non vi sono all’orizzonte di quelle indefinite masse di persone e dei loro portavoce più o meno accreditati e accreditabili né fantasia né una seria volontà di cambiamento.
Tutto ciò ci racconta di un’umanità sì composita, potremmo dire interlcassista, che presenta però pochi ma significativi tratti comuni: uno di questi è l’endemico spirito anarco-individualista del cittadino italiano che è, per come poi efficacemente viene riprodotto non tanto nelle urne elettorali quanto nei comportamenti locali, concettualmente di destra. Uno spirito che porta, da sempre, a mal tollerare le regole. La ricorrente e stucchevole tiritera sulla libertà ha ben poco di comunitario, condiviso, essendo connotato pressoché nella sua totalità da un esasperato individualismo, una mera somma di singoli che non ha nulla di progressista o, almeno, di propositivo che vada al di là del semplice, adolescenziale rifiuto: non è in grado di esserlo, date le sue insanabili carenze di programma. Che non può avere, considerata l’eterogeneità della sua componente umana: pronta, se necessario, se conveniente, nel suo essere profondamente italiota, ad accoltellare colui col quale, fino a un minuto, si condivideva la protesta e il corteo.
Ma in questa sommatoria di caratteristiche, negli ultimi decenni si è inserito un fattore decisivo nel rendere il tutto, se possibile, ancora peggiore e meno governabile: l’impatto del fenomeno pubblicitario, fratello gemello eterozigote della televisione. Si può dire e scrivere quello che si vuole e andare avanti fino a domattina, per poi riprendere dopo una breve pausa, sulla natura del cittadino italiano, l’estrema frammentazione culturale, sociale, politica, economicha che ancora lo Stato unitario porta con sé da oltre un secolo; ma per quante analisi e per quante idee e soluzioni possano venire in mente ed essere praticabili, niente potrà mai essere né seriamente pensato né fatto fino a quando non si prenderanno le dovute contromisure a quel fenomeno. Invadente, oscena, fuorviante, grottesca, schifosa, demenziale, avvilente, misogina: da un trentennio la pubblicità si è fatta largo a gomitate nella vita di chiunque, nei media, negli ambienti pubbllici di ogni tipo (financo nelle toilette), nelle case, con i suoi messaggi sostanzialmente indirizzati al singolo; invitato, esortato, pressoché obbligato a farsi regole proprie (da disattendere quando si vuole, esattamente come quelle imposte), a ritenere che tutto sia e debba essere SUBITO, il possesso, il consumo, il desiderio – delle nobili aspirazioni di ciascuno, ben più elevate del desiderio di riempire la pancia o il garage, non vi può essere traccia in quei messaggi – a rigettare ogni forma di mediazione, di dialogo (sostituito da milioni di monologhi) di apparentamento, di socialità, di pensiero che possa definirsi comune, pur nelle diversità.
Questo messaggio continuo, inarrestabile, ha per forza di cose enfatizzato un carattere che abbiamo poco sopra definito endemico e sicuramente legittimato l’insofferenza di cui sopra: la rabbia, il malessere che deriva dal fatto che, a dispetto di quanto mi viene detto, non posso avere quando voglio questo o quello (o quella), o mi viene impedito da una profilassi il cui contenuto sociale mi sfugge, difficilmente convivono con il ragionamento, la logica, la razionalità, che sono i cardini di un sentirsi parte di un corpo sociale.
Necessario, urgente, non procrastinabile, va pensato e messo in atto un insieme di contromisure per opporsi a questo mare di letame che porta con sé quella che una volta veniva chiamata ‘anima del commercio’ – il grande Marcello Marchesi la ribattezzò, inascoltato profeta ai tempi ingenui in cui la facevano Totò nella parte del portiere di condominio o il recentemente scomparso Franco Cerri come uomo in ammollo, ‘commercio dell’anima’ e come per tante altre cose, ci vedeva lontano.
La protesta, cieca e viscerale contro le restrizioni dovute alla pandemia è solo uno dei modi in cui finalmente quel grumo di insofferenza si è palesato. Sarà – sarebbe, se e quando lo si dovesse iniziare – un percorso lungo e doloroso; ma senza una guerra senza quartiere alla pubblicità, non servirà a nulla.

Cesare Stradaioli

 

IERI E OGGI (La memoria prima di tutto)

Di seguito, alcuni estratti da un articolo apparso nel 1928 sul quotidiano nazista Der Angriff.
“Entreremo nel Reichstag per procurarci, nell’arsenale delle armi della democrazia, proprio le armi della democrazia.
Diventeremo deputati del Reichstag per distruggere lo spirito di Weimar col suo aiuto. Se la democrazia è talmente stupida da darci delle indennità di viaggio e uno stipendio mentre noi regoliamo i conti, è affar suo è […] Noi consideriamo ogni mezzo legale benvenuto per rivoluzionari l’ordine vigente.
Se in queste elezioni riuscissimo a piazzare 60 o 70 agitatori nei diversi parlamenti, in futuro lo Stato equipaggerà e stipendierà il nostro apparato di lotta […] Sarebbe un errore credere che il parlamentarismo sia la nostra via di Damasco […]
Josep
h Goebbels

LA PREVENZIONE AI TEMPI DEL COLERA

Un’amministrazione pubblica che sia degna dell’essere definita diligente ha in carico un’infinità di cose: la gestione della nettezza urbana è una di queste. Il cittadino, per evidenti motivi, non ‘vede’, non percepisce – o capita in rari casi – dove, come e perché si formi la generica massa di rifiuti, più o meno differenziati, il cui smaltimento costituisce uno dei compiti dell’amministrazione pubblica: gli basta che venga portata via e, possibilmente, in maniera salubre e meno inquinante possibile. Occuparsi dei rifiuti, però, non può e non deve limitarsi all’organizzarne disciplina, raccolta e smaltimento, ovunque esso avvenga: la diligenza di una pubblica amministrazione, locale o statale che sia, necessariamente ha il dovere di governare quello che viene prima.
Un rifiuto urbano non nasce tale: lo diventa, subendo una trasformazione che da oggetto utile e/o piacevole lo rende sgradevole, da ‘rifiutarsi’. Per queste ragioni, la gestione delle immondizie deve partire da lontano e riguardare anche il come e in quali ambienti e quali condizioni esse diventano quello che diventano. Il mancato intervento a monte rende ingestibile, nel breve e soprattutto nel lungo periodo la fase della vita sociale che concerne tutto ciò di cui dobbiamo disfarci, per motivi igienici e di vita sociale.
Ora, i criminali più o meno fascisti – più che meno – che si uniscono alle manifestazioni contro il green pass e il vaccino, che ammorbano gli stadi, che contribuiscono alla vita politica della Lega e di Fratelli d’Italia sia garantendo pacchetti di voti sia partecipandovi in prima persona ricoprendo funzioni pubbliche, costituiscono un problema di nettezza urbana e con la nettezza urbana condividono passato e presente, con discrete probabilità di averne un futuro in comune, se si trascura quello che succede prima. Il fascismo è sopravvissuto un po’ ovunque alla Seconda Guerra Mondiale, con la differenza che in Italia limitarsi a usare il termine sopravvivenza rispetto al fenomeno fascista è un po’ come dire al Lord di turno mentre sorbisce il tè mattutino che per la mattinata si teme il brutto tempo, mentre da ore sta venendo giù a secchiate (o “cani e gatti”, come direbbe il maggiordomo di cui sopra), considerato come, dopo 25 aprile, referendum e Costituzione, un notevole numero di individui sia rimasto al proprio posto, anche in poltrone di notevole rilievo e non solo alle nostalgiche e inoffensive celebrazioni a Predappio.
Come l’immondizia, tutti erano al corrente della sua esistenza, qualcuno se ne occupava e cercava di mettere in guardia la collettività: attenzione, perché potrebbe diventare un problema, se già non lo è adesso. E come per l’immondizia, la gran parte della popolazione, rappresentanti politici inclusi e non tutti di destra o di centro, per decenni ha preferito guardare altrove: non c’èra da preoccuparsene, manifestazioni sporadiche – qualche bidone rovesciato, qualche pestaggio, paesini o quartieri ignorati da chiunque tranne da coloro che ci vivevano, infestati da topi a quattro e due zampe: cose del genere. A parte qualche inchiesta giornalistica, qualche servizio di questo o quell’inviato più o meno speciale, l’immondizia non è mai entrata nell’immaginario e nel concreto degli italiani; la stessa cosa valeva per i fenomeni di pretta marca fascista. Giusto qualche volontario a rimuovere le strade dai cumuli di spazzatura e qualche ronda studentesca e operaia a garantire la vivibilità dei quartieri a rischio – qualche volta servivano le maniere forti; erano però anni in cui una donna sola poteva camminare per Roma o Milano e ragionevolmente aspettarsi che non le succedesse nulla. Gli stupri (all’epoca erano ancora definite ‘violenze carnali’ e nel codice penale rientravano nella categoria dei reati contro la morale pubblica e non contro la persona) avvenivano per la più gran parte all’interno delle abitazioni, coniugali e non, paterne e non. Ci sono ancora i benemeriti volontari che raccolgono i rifiuti: le strade, anche quelle dei quartieri meno a rischio, si sono svuotate e dato che in natura il vuoto non esiste, si sono riempite di paura e di violenza, la più spiccia e idiota. E di fascisti.
Vorrei chiedere a coloro che solo ora si indignano – e, ancora peggio, si sorprendono – per il vandalismo alla sede della CGIL e quello forse più grave al pronto soccorso, sempre a Roma – non senza augurare loro di avere se non altro fatto un buon sonno: ben svegliati, dove eravate fino a ieri? Vi siete accorti che i fascisti dei nostri tempi, a differenza di quelli degli anni ’70, si sono tolti il passamontagna ed esibiscono senza paura e senza pudore le proprie facce, in strada, in corteo e perfino nei consigli comunali, provinciali e regionali, oltre che, fin dalla prima riunione parlamentare, alla Camera e al Senato? Avete fatto caso che mostrano i loro brutti musi, oltre ad armi e bagagli esattamente con la stessa protervia e lo stesso orgoglio che ostentavano le squadracce che introdussero il Ventennio? Sono pazzi? Sono imbecilli? O non saranno invece, come quasi sempre è accaduto, dal 1945 in poi, sostanzialmente impuniti e, in diversi casi, blanditi, protetti e usati?
Eppure. Uno non nasce fascista: lo diventa, esattamente come una bottiglia, una lattina, un pezzo di cartone, un involucro, un alimento, da cose che ci aiutano a vivere diventano rifiuti da smaltire. Bisognerebbe che ce ne fosse di meno, ecco la diligenza di una amministrazione; vivere in modo diverso, produrre in modo diverso, consumare in modo diverso. Fare in modo di essere cittadini migliori. Poi, una percentuale di residui da incenerire rimarrà sempre: ma un corpo sociale sano governa l’immondizia, non se ne fa sommergere e inquinare.
Il fascismo, sotto ogni forma e ogni manifestazione, è bandito dalla nostra Repubblica. Un fascista non ha diritti, se non quello di avere un processo con tutte le garanzie, a differenza di quelli che subivano il regime che rimpiange (più spesso senza sapere di cosa parla, se non altro in ragione dell’età e del tempo trascorso). Il fascismo deve essere smaltito, esattamente come l’immondizia, essendo un problema di salute pubblica.
Ma un cittadino ha il diritto di non diventare fascista e lo Stato in cui viviamo ha il dovere di occuparsene, con la scuola, con l’educazione, con la prevenzione. Prima che diventi spazzatura.

Cesare Stradaioli

PRENDETEVELA CON CREONTE

A proposito dell’abusatissimo detto secondo il quale le sentenze si rispettano e non si criticano, se non vivessimo nel Paese in cui ci tocca di vivere, sarebbe fuori luogo accostarlo a un possibile giudizio sulla virtù delle figlie proprie e altrui: quella delle proprie non si discute (e si rispetta); quella delle altre, dipende. Poiché, però, viviamo in un tempo e in un luogo in cui ancora striscia un paleofascismo di ritorno, con il suo micidiale accompagnamento di familismo amorale e sessismo debordante, oltre che di inguaribile inclinazione alla corruttela e all’opportunismo – sul retro delle monete al tempo della Lira avrebbe dovuto essere impresso il profilo di Alberto Sordi – è difficile resistere all’accostamento di cui sopra.
Quasi più avvilente della situazione giudiziaria di Mimmo Lucano, è il peloso cordoglio di molti: i quali, specie a sinistra, levano alte lamentazioni nei confronti del Tribunale che ha emesso la pesante sentenza nei suoi confronti. Non poteva, ovviamente, mancare un appello a Sergio Mattarella e/o a una non meglio specificata “Autorità”, affinché intervenissero, non si capisce bene a fare cosa. L’incertezza sul cosa dovrebbero fare è poco importante: ciò che rileva è l’insopprimibile desiderio di controllare la Magistratura, dirigerla, condurla per mano dove più conviene. Vale a dire, il controllo dell’Esecutivo nei confronti del Giudiziario, con tanti saluti alla tripartizione dei poteri.
La verità, per coloro che abbiano un minimo di conoscenza dei meccanismi che regolano l’impianto della giustizia – costoro avrebbero, però, anche il dovere di spiegarlo bene e chiaro a chi questa conoscenza non ha e non può, per svariate ragioni, avere – sta nel semplice fatto che un giudice applica la legge che si trova ad avere. Il caso del processo all’ex sindaco di Riace non sfugge alla regola ed è, in un certo qual modo, emblematico. Nel suo “La fabbrica della peste”, edito un quarantennio or sono, Franco Cordero attaccò Alessandro Manzoni, nei toni a volte sferzanti che gli erano propri. Oggetto della critica: “La colonna infame”, particolarmente per quanto era scritto contro i giudici della peste a Milano, che sottoponevano a torture e infine alla morte sia colpevoli sia semplici indiziati, passando per l’umiliazione (all’epoca non ancora percepita come tale) di dover confessare qualsiasi cosa per purificare l’anima e ridurre le sofferenze del corpo. Non con i giudici doveva prendersela il padre di Renzo e Lucia, scriveva Cordero:  costoro non fecero altro che applicare la legge vigente. Contro altri, doveva essere puntato il dito, vale a dire i legislatori, religiosi o secolari che fossero.
Ora tocca sentire esponenti politici appartenenti all’area di una generica e scolorita sinistra stracciarsi le vesti, esprimere solidarietà al condannato ed esporre aggrottar di ciglia verso la giustizia che paragona l’esperienza di accoglienza a Riace a una qualsiasi associazione mafiosa, se non altro nel dosare la pena. Dov’erano costoro, quando furono pensate e scritte le leggi applicate dal tribunale? Leggi che hanno come orgogliosi padri (ancora oggi i firmatari le rivendicano) un osceno pensiero fascioleghista che dà del criminale a un disgraziato che entra nel nostro Paese senza un paio di mutande di ricambio e l’allora ministro Marco Minniti, definito a buonissima ragione ‘ministro sbirro’ dal mai troppo compianto Gino Strada e che furono promulgate senza battere ciglio dall’ex Presidente della Repubblica che non merita di essere nominato? 
Il Creonte dei nostri giorni, non il giudice, ha vietato l’accoglienza e ha imposto la condanna di chi, in luogo di seppellire i morti preferisce trarli dal mare e dare loro una vita degna di essere chiamata tale. Quell’impersonale e policefala entità legislativa che siede a fianco di Enrico Letta alle riunioni del PD e nella stessa aula parlamentare dei suoi sodali e avversari. A coloro che solo ora si indignano vorrei dire: quella legge c’era anche tre giorni fa, prima che fosse emessa la sentenza nei confronti di Mimmo Lucano; andava bene, fino ad allora? Ma certo che andava bene: diamine, l’avete votata, sporcando la vostra bocca e le nostre vite con indecenti borborigmi sulla sicurezza che, partoriti dalle vostre menti guaste confondono il rispetto delle leggi con l’assunzione di guardie del corpo private e fanno propri, cioè VOSTRI, vergognosi stilemi appartenenti per diritto alla destra più becera e rivoltante.
Prendetevela con Creonte, vorrei dire a tutti gli altri.
E già che ci siete, smettete di votarlo, ogni volta che si presenta. Parafrasando Shakespeare a proposito dei cadaveri di avvocati sul fondo del mare: sarebbe già un buon inizio.

Cesare Stradaioli

 

 

QUELLI CHE NON SI FANNO PROBLEMI

Si danno luoghi in cui la politica internazionale vive una profonda torsione logica: le trattative si fanno con gli alleati.
Questa surreale conclusione è ciò che si trae dalle lamentazioni da destra – e anche da una certa sinistra – a proposito di quanto dichiarato da Giuseppe Conte, sul fatto che con i rappresentanti dei talebani vincitori in Afghanistan si dovrà pure, un giorno o l’altro, intavolare una qualche forma di confronto.
E’ dovere morale di chiunque intenda discutere e confrontare le idee fare il possibile per chiarire le proprie opinioni, sottoponendole a scrutinio e anche contestando quelle altrui. Trovo, però che discutere con chi escluda che con il nemico si possa trattare (dal che si deduce, per l’appunto, che gli accordi di pace si dovrebbero fare solo con quelli che stanno dalla nostra parte), sia sostanzialmente una perdita di tempo, proprio e altrui. In altre parole, ci si confronti (anche duramente) esclusivamente con le persone dotate di un minimo di ragionevolezza e/o di onestà. E poiché tendo a rigettare l’idea che chi dica stupidaggini sia necessariamente uno stupido, essendo per contro e per la maggior parte delle volte un disonesto, lascerei perdere la ragionevolezza come criterio di scelta.
Nel frattempo, nel disinteresse quasi totale dei mezzi di comunicazione – e, di conseguenza, nella sostanziale disinformazione dei cittadini europei – qualcuno ha già fatto capire che di porsi scrupoli morali ad avere a che fare con i sedicenti studenti (sic!) coranici non se ne parli neppure: si tratta di Western Union. In poche parole, la ritirata occidentale ha interrotto il flusso di denaro per circa un quarto d’ora: passata la breve buriana morale su come saranno trattate donne e dissidenti in Afghanistan, Western Union ha ripreso immediatamente a trattare flussi di capitali, ingenti aggiungerei, da e per Kabul.
Noi siamo distanti, qui a discutere di morale; loro, che – avendone convenienza: per solito, ce l’hanno sempre – farebbero affari con il Cancelliere del Reich Millenario Adolf Hitler e con il suo ministro della Ricerca Scientifica, Josef Mengele, sono molto più vicini di noi a quei luoghi. Materialmente e spiritualmente. Stranamente, la vicinanza non fa avvertire quanto maleodorante sia avere a che fare finanziariamente con quei signori, che acquistano mitra e proiettili anche col beneficio di Western Union.
Quando si dice il pragmatismo.

Cesare Stradaioli

FALLIMENTO? NON SONO COSI’ OTTIMISTA

Si dovrà trovare, prima o poi, un limite allo sciocco vezzo di buona parte della sinistra e di quello che possiamo definire fronte progressista, che porta numerose menti di notevole capacità – oltre a una indefinita serie di imbecilli – a definire stupide, fallimentari, ingiuste decisioni di carattere politico, economico, sociale, di costume prese da governi o gruppi di potere economico collocati da tutt’altra parte. Bisognerà, in un modo o nell’altro, piantarla di giudicare le politiche altrui con i nostri metri e le nostre misure, posto che ve ne siano di anche solo latamente assimilabili fra loro – ce ne sono, a mio giudizio. 
A coloro i quali vedono nella disdicevole fuga americana dall’Afghanistan e nel conseguente, indecoroso e indecente ammasso di disgraziati che dall’aeroporto cercano di fuggire il segno di un fallimento, del manifestarsi di pesanti crepe nella politica di dominio e occupazione che Washington persegue dal 1945, e che la definiscono, a seconda dei casi e delle linee editoriali ‘sbagliata’, ‘disumana’ e così via, rispondo di non essere così ottimista. 
Purtroppo non vedo affatto la fine dell’impero statunitense, fondato anche sull’appoggio a regimi sanguinari e predatori, neppure qualche minimo segnale in tal senso. Vedo, per contro, un disegno piuttosto evidente, per chi abbia voglia di vederlo, teso a ricreare (o mantenere: dipende dalle longitudini) uno stato di conflitto perenne da Israele verso est. Non vedo esponenti politici particolarmente affranti, al di là dell’Atlantico per la ripresa del potere da parte dei talebani: sono ragionevolmente sicuro, invece, che da quelle parti vi siano amministratori delegati afferenti alle lobby degli armamenti, delle forniture militari, dell’industria della ricostruzione (‘nelle guerre moderne prima vengono abbattute tutte le centrali elettriche’, sentii dire un giorno da un operaio altamente qualificato di una multinazionale che opera in Italia ‘e poi viene occupato il territorio’) i cui occhi luccicano al pensiero degli enormi profitti che deriveranno dal prossimo attentato, dalla prossima guerra civile, dalle prossime zone di conflitti a intensità medio-bassa: quell’intensità sufficiente per una produzione bellica remunerativa – anche elettoralmente – ma non altrettanto da rendere popolari i vari Gino Strada rimasti che denunciano che mille morti e mille feriti sembrano pochi ma sono sempre mille di troppo. Vedo anche un progetto, altrettanto chiaro, di opposizione con altre armi all’espansionismo cinese e al desiderio di rivincita internazionale di Mosca. 
Non vedo errori. Non vedo fallimenti. Non vedo vergogna. Così come non è stato un errore, che so, mettere in ginocchio la Grecia e umiliare i greci, né lo è manovrare il prezzo dei cereali e delle materie prime che affamano e costringono alle migrazioni decine e decine di milioni di persone. Non è ‘sbagliato’, non è miope, non è indice di scarsa comprensione delle esigenze di libertà e di affrancamento dalla miseria di cui leggiamo e sentiamo tutti i giorni, lasciare interi Paesi nelle mani di gruppi pseudotribali armati di Kalashnikov ed M16, sottomettere le relative popolazioni femminili: è tutto perfettamente funzionale al mantenimento di determinati circoli di potere, politico, economico, editoriale, educativo. I quali, senza disoccupazione, fame di materiale bellico – dalle pistole agli F35, passando per le mine antiuomo – senza migrazioni, senza nuovi schiavi, senza imbecilli che quello che sanno della vita l’apprendono dagli spot pubblicitari che ne fanno bestiame da consumo, senza dittatorelli da strapazzo, scimmioni in divisa militare o con l’asciugamano in testa, buoni oggi e babau domani, senza tutto questo non accumulerebbero potere e capacità finanziaria, non vivrebbero delle loro rendite (di ogni tipo), non perpetuerebbero il proprio dominio che tramandano all’interno dei loro circoli esclusivi, non potrebbero controllare dati personali e informazione e, in ultima analisi, rischierebbero la morte per inedia se la diseguaglianza sociale facesse marcia indietro. 
Bisogna scendere dal proprio piedistallo e finirla, una buona volta, di giudicare imbecilli, crudeli e ciechi gli altri e considerare quello che fanno utilizzando i NOSTRI canoni, la NOSTRA morale, i NOSTRI principi e spacciare per illogico, incomprensibile e insensato ciò che agli occhi e alle menti di chi guida la politica mondiale e, in genere, la globalizzazione, è perfettamente logico, facile da capire e del tutto funzionale – fame, morti e ingiustizia inclusi. Si guadagnerebbe in concretezza politica e, se non altro, la smetteremmo di sembrare ai loro occhi quello che appare dai nostri comportamenti: scemi. E, quel che è peggio, pure innocui.

Cesare Stradaioli

LEZIONI DI ELITISMO PER IGNORANTI

Ritengo che sia necessario e opportuno un robusto ridimensionamento delle argomentazioni usate, a proposito del dibattito suscitato dal manifestarsi di proteiformi esempi di protesta – pur sempre sociale – riguardo alle vaccinazioni: in special modo, con riferimento all’esame delle motivazioni che hanno portato decine di migliaia di persone in piazza, con l’immancabile richiamo alla libertà (non guasta mai) intorno a tutto ciò. Ridimensionamento che, a mio giudizio, non dovrebbe riguardare l’effettivo svolgersi di queste manifestazioni – che tutto merita, tranne che essere ridimensionato nel suo essere analizzato come si deve – quanto piuttosto il florilegio di argomenti esposti da più parti a pitturarlo, nei modi più svariati. 
La storiella è – o dovrebbe esserlo – nota; un francese apostrofa un inglese, accusando lui e i suoi connazionali di avere mandato al rogo la valorosa pulzella. Che dici, ribatte stupito l’interlocutore, è successo secoli fa! Sì, conclude il primo, ma io l’ho saputo solo ieri. Questo, a titolo di esempio, per dire che il poveretto – con non pochissimi altri – che è stato visto manifestare con la stella di Davide appuntata al petto e sentito accostamenti la legislazione d’urgenza sulla pandemia all’Olocausto, andrebbe compatito per il fatto di non avere idea di cosa stia dicendo, riproducendo nella libertà di espressione che gli è consentita idee e concetti di cui ha appreso l’altroieri mattina e che, per forza di cose, non può avere avuto il tempo di assimilare e comprendere nei loro vari significati. A parte l’appunto che gli si sarebbe potuto fare – in buone maniere – e cioè se si fosse reso conto del fatto che il tizio che sfilava accanto a lui, che con lui gridava i medesimi slogan, in quanto appartenente a una formazione di estrema destra con grande probabilità era uno di costoro che nega l’esistenza della Shoah, rimane il fatto che il tizio di cui sopra non sa di cosa parla perché semplicemente IGNORA il prima, il durante e il dopo quanto accadde a milioni di ebrei e di altre minoranze, tanto quanto il francese della storiella a proposito di Giovanna D’Arco. 
Allo stesso modo, tanti che come lui hanno manifestato opponendosi ai vaccini e alla lesione della libertà personale costituita dal green pass, berciano di cose che non fanno parte del loro bagaglio culturale – sempre che l’aggettivo possa, riguardo a loro, avere un senso e un fondamento). Una cerchia di commentatori politici, scrittori, filosofi titolari o non più tali di cattedre universitarie e liceali, spende e consuma concetti di altissimo livello che semplicemente non appartengono ai reclamatori di libertà, il che fa sorgere il più che legittimo sospetto che qualcuno stia cercando di menare un po’ il torrone, evitando di porsi delle domande che meriterebbero approfondite riflessioni, prima di dare luogo alle risposte che, per solito, più sono immediate e meno sono attendibili. O, forse, si tratta solo di un terribile mix di elitismo e impazienza senile a dettare certe uscite. In questo senso, Cacciari non può godere né del compatimento né delle scusanti che merita il tizio di cui sopra, compagno di strada del negazionista, quando menziona il cosiddetto ‘passaporto interno’, documentazione vigente all’epoca dell’Unione Sovietica che un cittadino doveva disporre per giustificare gli spostamenti interni all’Urss e lo accosta al green pass. La vecchiaia può essere brutta, alle volte. 
Ma, in ogni caso, bisogna pur chiederselo: da dove viene questa gente? Dove ha vissuto, negli ultimi decenni delle proprie vite? Ebbene, quando Franco Cordero scriveva ripetutamente di disastro socio-culturale, perfino antropologico, provocato dall’avvento del berlusconismo (che, com’è noto, iniziò la propria campagna politica con la prima puntata del serial tv “Dallas”, 1980), per emendare il quale sarebbero stati necessari trenta, quaranta anni di recupero umano – cominciando da subito, intendeva il Maestro – lo faceva tanto per leggersi o non stava per caso indicando il lugubre futuro che ci attendeva? E, soprattutto, a chi si rivolgeva? E in quanti lo stavano ascoltando? 
Eccolo qua, il futuro di cui parlava più o meno nei primi anni del duemila. Ecco il rimbecillimento. Ecco la regressione epocale, ecco il percorso di ritorno da Alberto Manzi all’età della Pietra. Ecco lo smantellamento della società e con esso il crollo dell’autorità, del poco pensiero scientifico che da sempre ha raramente innervato il nostro Paese. Ecco da dove cominciare, per provare a ricostituire un sistema  sanguigno, una struttura scheletrica, un apparato nervoso e sensitivo di questo che non è più lo Stato italiano bensì un cesto che contiene una massa di vipere e di invertebrati, resi poveri e meschini dalla televisione, dalla propaganda commerciale e dal letamoso verbo liberista che ha posto in rilievo solo l’endemico bisogno indotto di concorrere, sgomitare, corrompere, mendicare, inveire. 
Sono quelli che passano per strada, che parlano credendo di sapere e non sanno né parlare e neppure di non sapere, alimentati da un alito guasto costituito da una Destra verminosa e codarda e da una classe di governo della politica e dell’imprenditoria che non può che essere figlia di questa melma: fino a quando non saremo in grado di mandarli a casa (tutti quanti, nessuno escluso, neppure i più apparentemente sensibili e mentalmente aperti – sono complici anch’essi), non potremo cominciare l’opera di cui parlava, largamente inascoltato, il Maestro.

Cesare Stradaioli